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Arrigo Boito

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Composizioni per: Baritono

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Arrigo Boito (Padova, 24 febbraio 1842 – Milano, 10 giugno 1918) è stato un letterato, librettista e compositore italiano.
Figlio di Silvestro Boito e fratello minore di Camillo, è noto soprattutto per i suoi libretti d'opera, considerati tra i massimi capolavori del genere, e per il suo melodramma Mefistofele.
Dopo gli studi elementari a Venezia, dal 1853 studiò violino, pianoforte e composizione al conservatorio di Milano, allievo di Alberto Mazzucato, dando precoce prova di affrancamento dalle convenzioni musicali e di apertura alle innovative culture d'oltralpe con la cantata Il quattro giugno (1860) e col mistero Le sorelle d'Italia (1861), dei quali scrisse anche il testo poetico, proponendosi da subito nella duplice veste di poeta-musicista.
Nel 1861, appena conseguito il diploma, ottenne una borsa di studio e, col condiscepolo e amico fraterno Franco Faccio, si recò a Parigi. Nella capitale francese conobbe, tra gli altri, Rossini, Berlioz e Verdi. Per quest'ultimo scrisse il testo poetico dell'Inno delle Nazioni, eseguito all'Esposizione universale di Londra.
Nel 1862, lasciata Parigi per la Polonia, patria di sua madre (la contessa Józefa Radolinska, morta nel 1859), vi scrisse il suo primo libretto, l'Amleto, dall'omonima tragedia di Shakespeare, per la musica di Faccio.
Tornato a Milano, strinse amicizia con Emilio Praga e aderì al movimento letterario della Scapigliatura, di cui fu uno dei principali esponenti. In questo periodo compose diverse poesie, poi in parte raccolte nel Libro dei versi (1877), e pubblicò quello che è generalmente considerato il suo lavoro più originale, il poemetto Re Orso (1864), una fiaba inquietante e orrida in forma di spericolato polimetro (componimento con versi di varia misura). Fu inoltre molto attivo, collaborando con diverse testate milanesi, come critico e recensore di spettacoli teatrali e musicali. In alcuni articoli, in particolar modo in quelli pubblicati sul Figaro (rivista da lui stesso fondata e diretta nel 1864), espresse i propri principi di riforma del melodramma italiano, in certa misura simili a quelli di Wagner (compositore con cui Boito, peraltro, ebbe un rapporto quanto mai problematico, altalenante tra entusiastica ammirazione e rigetto veemente).
Nel 1864, insieme ad altri «cultori della buona musica», promuove la fondazione della Società del quartetto di Milano.
Di notevole pregio sono anche le sue raffinate novelle (L'Alfier nero, Iberia, La musica in piazza, Il pugno chiuso e Il trapezio), pubblicate su varie riviste dal 1867 al 1874.
Dopo alcuni anni di intenso lavoro (interrotto solo nel 1866, quando con Faccio s'arruolò nel corpo di volontari di Garibaldi in occasione della Terza Guerra d'Indipendenza) nel 1868 fece rappresentare alla Scala il grandioso dramma musicale Mefistofele, che condensava l'intero Faust di Goethe. Al suo debutto l'opera, accusata di wagnerismo, fu accolta da un clamoroso fiasco; dopo appena due rappresentazioni, a causa dei disordini ripetutamente verificatisi in teatro, si decise di interrompere le esecuzioni.
Boito successivamente rivide e ridusse drasticamente la partitura (tra l'altro, la parte di Faust, originariamente per baritono, fu riscritta per tenore). La nuova versione, rappresentata nel 1875 al Teatro Comunale di Bologna, ottenne un enorme successo in Italia come all'estero e, unica fra le composizioni di Boito, entrò nel repertorio delle opere ancor oggi rappresentate e incise con maggiore frequenza.
Dopo il fiasco del primo Mefistofele, Boito si dedicò principalmente alla composizione di libretti, quasi sempre firmati con lo pseudonimo anagrammatico Tobia Gorrio. Si ricordano La Gioconda per Amilcare Ponchielli, Ero e Leandro scritto per sé nel 1871 ma poi ceduto a Giovanni Bottesini, Pier Luigi Farnese per Costantino Palumbo, La falce per Alfredo Catalani e Un tramonto per Gaetano Coronaro.
Per Giuseppe Verdi, con cui peraltro erano sorte acute divergenze nel 1863 a causa di un'ode offensiva (Alla salute dell'Arte Italiana), scrisse l'Otello (1887) e il Falstaff (1893), entrambi da Shakespeare, e modificò notevolmente il Simon Boccanegra (1881). Nel corso della lunga collaborazione, nonostante gli spiacevoli trascorsi, tra i due, oltre alla stima reciproca, nacque una profonda e sincera amicizia.
Dal 1887 al 1898 Boito ebbe un'intensa relazione con la celebre attrice Eleonora Duse (gli incontri avvenivano, tra l'altro, a Ivrea, presso il castello di San Giuseppe, dimora del comune amico Giuseppe Bianchi), e per lei tradusse i drammi shakespeariani Antonio e Cleopatra, Romeo e Giulietta e Macbeth.
Dal 1890 al 1891 fu direttore onorario del Conservatorio di Parma (per questa ragione l'istituzione parmigiana porta il suo nome). Nel 1893 gli fu conferita una laurea honoris causa in musica dall'Università di Cambridge, e nel 1912 fu nominato senatore del Regno.
Fin dalla giovinezza lavorò alla composizione della tragedia lirica che lo impegnò per tutta la vita, il Nerone, grande affresco storico in cinque atti dai tratti spiccatamente decadentistici; nel 1901, scosso dalla morte di Verdi, ne pubblicò il testo letterario (che fu un vero successo editoriale), ma - vinto dai dubbi e dall'autocritica - non riuscì a completarne la partitura, nonostante la soppressione dell'intero quinto atto. Morì nel 1918, per angina pectoris, ed ebbe sepoltura nel cimitero monumentale di Milano.
Il Nerone, completo nello spartito ma non interamente strumentato, fu in seguito integrato nell'orchestrazione da Arturo Toscanini, Antonio Smareglia e Vincenzo Tommasini, che cercarono di seguire le indicazioni e le annotazioni che Boito aveva lasciato. Col carico di un'aspettativa senza paragoni (il pubblico attendeva l'opera da decenni), la tragedia fu rappresentata per la prima volta alla Scala il 1º maggio 1924: accolte da un autentico trionfo, le recite fruttarono al teatro milanese un incasso da record. Dopo un periodo di frequenti esecuzioni, dagli anni cinquanta il secondo dramma musicale di Boito, anche a causa dei costi proibitivi del suo allestimento, è stato rappresentato sempre meno, benché vanti un discreto numero di incisioni, anche in studio.
In Italia l'inno alla gioia viene oggi il più delle volte cantato usando l'adattamento in lingua italiana del testo di Schiller fatto da A.Boito.