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«Μνῆμα μὲν Ἑλλὰς ἅπασ᾿ Εὐριπίδου· ὀστέα δ᾿ ἴσχειγῆ Μακεδών· ᾗ γὰρ δέξατο τέρμα βίου.Πατρὶς δ' Ἑλλάδος Ἑλλάς, Ἀθῆναι· πλεῖστα δε Μούσαιςτέρψας, ἐκ πολλῶν καὶ τὸν ἔπαινον ἔχει.»
«L'Ellade tutta è tomba di Euripide; ma conserva le ossala terra macedone, dov'egli raggiunse il termine della vita:sua patria è l'Ellade dell'Ellade, Atene. Per aver dilettatomolto con la sua poesia, da molti riceve lode.»
Euripide (in greco antico: Εὐριπίδης, Euripídēs, in latino: Euripides; pronuncia: [eu̯.riː.pí.dɛːs]; Salamina, 485 a.C. – Pella, 406 a.C.) è stato un drammaturgo greco antico.
È considerato, insieme ad Eschilo e Sofocle, uno dei maggiori poeti tragici greci.
Nacque a Salamina intorno al 485 a.C., ma, secondo la tradizione, si fa risalire il suo giorno di nascita al giorno della famosa battaglia di Salamina per creare una linea di continuità tra i tre maggiori tragediografi greci (Eschilo fu combattente a Salamina, mentre Sofocle diresse il peana per la vittoria).
Nacque da una famiglia ateniese rifugiata sull'isola per sfuggire ai Persiani e il suo nome verrebbe dall'Euripe, il canale dove si svolse la battaglia. Aristofane, comunque, suggerisce a più riprese nelle sue commedie la bassa estrazione sociale del poeta, confermata da Teofrasto: tuttavia, la sua cultura dimostra una educazione raffinata, acquisita dallo studio presso sofisti come Protagora, che non sarebbe stata possibile senza una condizione sociale agiata, come dimostrato anche dal fatto che avrebbe messo insieme una ricca biblioteca, una delle prime di cui si faccia menzione. Contemporaneo di Socrate, ne divenne amico.
Euripide si propose pubblicamente come tragediografo a partire dal 455 a.C.: la sua prima opera, Le Peliadi, ottenne il terzo premio. Divenne presto popolare, pur avendo ottenuto solo cinque vittorie, di cui una postuma: infatti Plutarco racconta, nella Vita di Nicia, come nel 413 a.C., dopo il disastro navale di Siracusa, i prigionieri ateniesi in grado di recitare una tirata di Euripide venissero rilasciati.
Verso il 408 a.C., sfiduciato dagli insuccessi, Euripide si ritirava a Magnesia, poi in Macedonia, alla corte di Archelao, dove sarebbe morto, si dice, sbranato dai cani (ma la notizia è quantomeno dubbia) o ucciso da alcune donne mentre, di notte, si stava recando dall'amante di Archelao, Cratero. Solo dopo la sua morte gli ateniesi gli dedicarono nel 330 a.C. una statua di bronzo nel teatro di Dioniso.
Delle 92 opere attribuite in antichità ad Euripide, ci sono giunte integre solo 19 (18 tragedie e 1 dramma satiresco): Alcesti (438 a.C.); Medea (431 a.C.); Ippolito (428 a.C.); Gli Eraclidi (fra il 430 e il 427 a.C.); Andromaca (fra il 429 e il 425 a.C.); Ecuba (424 a.C.); Le Supplici (422 a.C.); Eracle (415 a.C.); Le Troiane (415 a.C.); Elettra (413 a.C.); Ifigenia in Tauride (413 a.C.); Elena (412 a.C.); Ione (forse del 412 a.C.); Le Fenicie (fra il 411 e il 409 a.C.); Oreste (408 a.C.); Ifigenia in Aulide (405 a.C.); Le Baccanti (405 a.C.), il Ciclope, dramma satiresco di datazione molto incerta, forse del 427 a.C. (?), e il Reso, una tragedia di scarso valore, scritta probabilmente da un imitatore nel IV secolo a.C.
Euripide mise in scena le sue tragedie nella seconda metà del quinto secolo (la prima da noi conosciuta, benché appartenente a una fase già matura della sua produzione, è l'Alcesti del 438; l'ultima Le Baccanti, messe in scena postume nel 403). Agli inizi del IV secolo a.C. erano conservate dunque in Atene tutte le opere del poeta di Salamina (come attestato dalla Suda e dal Bios kai genos premesso ad alcuni manoscritti): novantadue tragedie facenti parte di ventitré tetralogie. L'oratore ateniese Licurgo impose, alla fine del IV secolo a.C., che le compagnie teatrali si attenessero ai testi ufficiali: ciò conferma l'esistenza di veri e propri archivi dei testi scenici.
Un secolo e mezzo più tardi sopravvivono settantacinque tragedie, compresi otto drammi satireschi, e altre tre tragedie sicuramente spurie (Tenne, Radamanto, Piritoo): è sulla base di questo materiale che i filologi alessandrini approntarono (nello specifico Aristofane di Bisanzio), alla metà del III secolo, le proprie edizioni critiche, dotate di suddivisione colometrica, di commenti (generalmente su volume separato) e di hypotheseis (argumenta), cioè brevi premesse con il nome della tragedia e dell'autore, l'anno – se conosciuto – di messa in scena, il risultato dell'agone e il nome delle altre tragedie della serie. Aristofane di Bisanzio, nell’ipotesi della Medea, ammette che il dramma satiresco della tetralogia corrispondente non si è conservato. Probabilmente è in questa fase che vengono spezzate le tetralogie a favore di edizioni in ordine alfabetico (di cui il manoscritto Laurenziano di Demetrio Triclinio sarebbe, in definitiva, l'ultimo erede).
Durante l'età imperiale si procede ad una riorganizzazione del materiale ereditato dall'ellenismo, riducendo gli imponenti commenti a scoli o note a margine (quelli della Medea sono attribuiti a Didimo, di età augusta, e a Dionigi, posteriore a Didimo ma non facilmente identificabile), o, eventualmente, di glosse interlineari.
Ancora nel 1160 Giovanni Tzetzes dichiarava di aver letto cinquantaquattro tragedie di Euripide. Poi la IV Crociata e la presa di Costantinopoli determinarono l'incendio e il saccheggio della città, permettendo la sopravvivenza di una minima parte della tradizione classica ivi conservata.
La tradizione manoscritta euripidea, all'epoca della caduta di Bisanzio (1453), si divide in due rami: da un lato i codici di uso “scolastico” (corredati di scoli), suddivisi in gruppi di quattro o tre tragedie (Andromaca, Alcesti, Ippolito e Medea oppure Ecuba, Oreste e Fenicie, ed eventualmente Baccanti, Troiane e Reso); dall'altro altre nove tragedie, con iniziale appartenente al gruppo E H I K, individuabili sul manoscritto Laurenziano L XXXII, composto entro il 1320 dal dotto bizantino Demetrio Triclinio (L comprende anche tutte le altre tragedie del canone scolastico, con l'eccezione delle Troiane). Da questa copia di lavoro sarebbe stato tratto un volume più prezioso, il Palatino Vaticano 287 P (ma sui rapporti tra L e P il dibattito è ancora aperto).
Comunque, a parte le 19 tragedie giunteci, abbiamo frammenti consistenti, tra citazioni e papiri, di: Alessandro (415 a.C., rappresentato con le Troiane); Andromeda (circa 412 a.C.); Antiope (data sconosciuta); Bellerofonte (data sconosciuta); Cresfonte (data sconosciuta); Eretteo (422 a.C.); Fetonte (circa 420 a.C.); Filottete (prima del 431 a.C.); Ipsipile (circa 410 a.C.); Palamede (415 a.C., era il secondo dramma della cosiddetta "Trilogia Troiana", formata da Alessandro, Palamede e Troiane, più il dramma satiresco Sisifo. Euripide ottenne il secondo posto, dietro Senocle); Telefo (438 a.C., rappresentato con l'Alcesti).
Le peculiarità che distinguono le tragedie euripidee da quelle degli altri due drammaturghi sono, da un lato, la ricerca di sperimentazione tecnica attuata da Euripide in quasi tutte le sue opere e, dall'altro, la maggiore attenzione che egli presta alla descrizione dei sentimenti, di cui analizza l'evoluzione che segue il mutare degli eventi narrati.
La struttura della tragedia euripidea è molto più variegata e ricca di novità rispetto al passato, soprattutto per effetto di nuove soluzioni drammatiche, per un maggiore utilizzo del deus ex machina, in particolare nelle tragedie più tarde, e per la progressiva svalutazione del ruolo drammatico del coro, che tende ad assumere una funzione di pausa nell'azione. Anche lo stile risente della ricerca euripidea di rompere con la tradizione, mediante l'inserimento di parti dialettiche per allentare la tensione drammatica e l'alternanza delle modalità narrative.
La novità assoluta del teatro euripideo è comunque rappresentata dal realismo con il quale il drammaturgo tratteggia le dinamiche psicologiche dei suoi personaggi. L'eroe descritto nelle sue tragedie non è più il risoluto protagonista dei drammi di Eschilo e di Sofocle, ma sovente una persona problematica ed insicura, non priva di conflitti interiori, le cui motivazioni inconsce vengono portate alla luce ed analizzate.
Proprio lo sgretolamento del tradizionale modello eroico porta alla ribalta del teatro euripideo le figure femminili. Euripide però dava delle connotazioni negative a queste donne, infatti molti studiosi delle sue opere, lo definirono "misogino" (cioè colui che odia le donne), mentre altri pensavano che lui considerasse le donne perfette, e con questi testi voleva riuscire a trovare quel poco di peccatrice che c'è in loro. Le protagoniste dei drammi, come Andromaca, Fedra e Medea, sono le nuove figure tragiche di Euripide, il quale ne tratteggia sapientemente la tormentata sensibilità e le pulsioni irrazionali che si scontrano con il mondo della ragione.
Euripide espresse le contraddizioni di una società che stava cambiando: nelle sue tragedie spesso le motivazioni personali entrano in profondo contrasto con le esigenze del potere e con i vecchi valori fondanti della polis. Il personaggio di Medea, ad esempio, arriva a uccidere i propri figli pur di non sottostare al matrimonio di convenienza di Giasone con Glauce, figlia di Creonte re di Corinto. Aristofane, il maestro riconosciuto della commedia, ci offre ne Le rane la cronaca del tempo riguardo alla disputa fra i tragediografi, e del pubblico che parteggiava per l'uno o per l'altro, presentando Euripide come un rozzo portatore di nuovi costumi.
Il teatro di Euripide va, dunque, considerato come un vero e proprio laboratorio politico, non chiuso in se stesso ma, al contrario, affine ai mutamenti della storia fino all'accettazione ultima del regno di Macedonia.
(sono indicati i testi critici più recenti ed accreditati)
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