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Friedrich Wilhelm Nietzsche (pronuncia italiana: [ˈnit͡ʃe]; in tedesco: [ˈfʁiːdʁɪç ˈvɪlhɛlm ˈniːt͡ʃə] ascolta; a volte italianizzato in Federico Guglielmo Nietzsche; Röcken, 15 ottobre 1844 – Weimar, 25 agosto 1900) è stato un filosofo, poeta, saggista, compositore e filologo tedesco. Fu cittadino prussiano fino al 1869, poi apolide (partecipò, comunque, alla guerra franco-prussiana come infermiere per sole due settimane). Considerato tra i massimi filosofi e scrittori di ogni tempo, ebbe un'influenza controversa, ma indiscutibile, sul pensiero filosofico, letterario, politico e scientifico del mondo occidentale nel XX secolo. La sua filosofia, in parte riconducibile al filone delle filosofie della vita, fu considerata da alcuni uno spartiacque fra la filosofia tradizionale e un nuovo modello di riflessione, informale e provocatorio. In ogni caso, si tratta di un pensatore unico nel suo genere, sì da giustificare l'enorme influenza da lui esercitata sul pensiero posteriore.
Scrisse vari saggi e opere aforistiche sulla morale, la religione (in particolare quella cristiana), la società moderna, la scienza, intrise di una profonda lucidità e avversione alla metafisica e da una forte carica critica, sempre sul filo dell'ironia e della parodia. Nella sua filosofia si distingue una prima fase "wagneriana", che comprende La nascita della tragedia e le Considerazioni inattuali, in cui il filosofo combatte a fianco di Richard Wagner per una "riforma mitica" della cultura tedesca.
Questa fase sarà poi abbandonata e rinnegata con la pubblicazione di Umano, troppo umano – nella stagione cosiddetta "illuministica" del suo pensiero –, per culminare infine, pochi anni prima del crollo nervoso del 1889 e dalla paralisi progressiva che metteranno fine alla sua attività – probabile conseguenza di una patologia neurologica o neuropsichiatrica, oppure di neurosifilide – in una terza fase, prominente del suo pensiero, dedicata alla trasvalutazione dei valori e al nichilismo attivo, costellata dai concetti di oltreuomo, eterno ritorno e volontà di potenza, fase che ha il suo apice (e inizio) con la pubblicazione del celeberrimo Così parlò Zarathustra, seguito da altre importanti opere come Al di là del bene e del male, L'Anticristo e Il crepuscolo degli idoli. Morì, dopo 11 anni e mezzo di infermità, di polmonite nel 1900, ormai paralizzato e in preda a demenza dopo ripetuti ictus che lo avevano colpito, lasciando una notevole eredità filosofica.
Friedrich Wilhelm Nietzsche nasce a Röcken, villaggio della Prussia meridionale (Sassonia-Anhalt) nei pressi di Lipsia, il 15 ottobre 1844; viene chiamato così in onore del re Federico Guglielmo IV di Prussia il quale compiva quarantanove anni proprio nel giorno della nascita di Nietzsche. Successivamente il filosofo abbandonò il suo secondo nome "Wilhelm". Il primo nome, Friedrich, fu anche un omaggio al nonno Friedrich August Nietzsche, morto nel 1826.
Appartiene a una stirpe di pastori protestanti, è primogenito di Carl Ludwig Nietzsche, reazionario monarchico già precettore alla corte di Altenburg, e di Franziska Oehler, figlia anche lei di un pastore luterano. Nel 1846 e nel 1848 nascono altri due figli, Elisabeth e Joseph (quest'ultimo morto nel 1850, per un'improvvisa febbre cerebrale non meglio specificata).
Il 27 luglio 1849 muore il padre, dopo un anno di "apatia cerebrale" (secondo Elisabeth dovuta a una caduta, secondo altri probabilmente un tumore cerebrale, un ictus, l'epilessia del lobo temporale o la stessa malattia cerebrale che avrebbe poi colpito il figlio, i cui primi segni si erano manifestati due anni prima). In seguito a tali disgrazie la famiglia si trasferisce nella vicina Naumburg ove convive con la nonna materna di Nietzsche e due sorelle nubili di suo padre. Dopo la morte della nonna nel 1856, la famiglia si trasferì in una propria casa, ora Nietzsche-Haus, un museo e centro studi.
Qui Friedrich inizia gli studi di lettere classiche e religione; frequenta la scuola pubblica maschile e poi, successivamente, una scuola privata, dove stringe amicizia con Gustav Krug e Wilhelm Pinder, i suoi primi amici ognuno dei quali proveniva da famiglie di tutto rispetto. In casa apprende la musica e il canto. Si impegna in composizioni musicali vocali e strumentali, compone poesie, legge Goethe e Byron.
Nel 1854 ha iniziato a frequentare il Domgymnasium di Naumburg, ma già distintosi per le sue non comuni doti intellettuali, avendo mostrato particolari talenti sia in musica sia nel campo linguistico, viene ammesso come allievo a Schulpforta, un complesso collegiale riconosciuto a livello internazionale. Inizia così a frequentare il liceo (Gymnasium) Landesschule di Pforta come interno beneficiante di una borsa di studio ecclesiastica. Qui studia tra il 1858-1864, sperimentando per la prima volta la lontananza dall'ambiente familiare, diventando prima amico di Paul Deussen (futuro indologo di fama) e in seguito di Carl von Gersdorff; troverà anche il tempo per lavorare sulle sue prime originali composizioni poetiche e musicali.
Nel 1860 insieme agli amici Krug e Pinder che lo avevano raggiunto per studiare anche loro a Pforta, fonda l'associazione Germania, con la quale si propone di sviluppare i suoi interessi letterari e musicali. Per questa associazione scrive alcuni saggi, come Fato e volontà e Libertà della volontà e fato, visibilmente ispirati dalla lettura di Fato e altri saggi di Ralph Waldo Emerson, specie quelli inclusi in Condotta di vita (1860), un'opera che è stata recentemente ritenuta fondamentale nella genesi del pensiero di Nietzsche. In questo periodo Nietzsche comincia a soffrire di un male che lo tormenterà tutta la vita, l'emicrania.
Frequenta anche il vecchio poeta bohémien Ernst Ortlepp, un ex allievo di Pforta che ora vive gironzolando nei dintorni. Assieme a Ortlepp, eccentrico, blasfemo e spesso ubriaco, conosce l'opera del poeta allora quasi sconosciuto Friedrich Hölderlin, che verrà presto considerato il preferito dal ragazzo; compone anzi un saggio in cui scrive che il poeta pazzo ha sollevato la coscienza all'idealità più sublime: l'insegnante che gli ha corretto il compito, pur dandogli un buon voto, gli consiglia però vivamente di occuparsi in futuro di scrittori più sani, più lucidi, in definitiva "più tedeschi". Ortlepp verrà infine trovato morto in un fosso, dove probabilmente era caduto, in stato di ubriachezza, battendo la testa.
Il particolarmente accurato studio qui condotto delle lingue classiche e dell'antico ebraico, lo mettono in grado di leggere importanti fonti primarie; dopo gli esami finali all'ormai diciannovenne viene consegnato un attestato finale che gli assegna un giudizio eccellente in religione, tedesco e latino, un buono in greco e un sufficiente in francese e invece uno scarso in ebraico, matematica e disegno; nel commento conclusivo del corpo docente si legge: "la commissione esaminatrice gli ha rilasciato, ora che lascia la regia scuola territoriale per studiare filologia e teologia all'università di Bonn, il certificato di maturità e lo congeda nella speranza che un giorno applicandosi sempre con serietà e coscienziosità possa conseguire buoni risultati nella sua professione".
Conclusi gli studi secondari nel 1864, comincia gli studi nella facoltà teologica all'Università di Bonn per volere materno, studi che regge per appena una sessione, dopodiché s'iscrive assieme all'amico e compagno di studi Deussen alla Burschenschaft (corporazione studentesca) della Franconia. È quest'ultimo a riferire del celebre episodio della "casa di malaffare" di Colonia come "contributo alla comprensione del modo di pensare di Nietzsche". Nel febbraio del 1865 il filosofo gli raccontò di essere stato condotto surrettiziamente in tale luogo dalla sua guida locale e, imbarazzatissimo, scappò via dopo aver suonato un po' il pianoforte per darsi un contegno di fronte a "una mezza dozzina di apparizioni in lustrini e veli". Già nei suoi saggi sul fato degli anni immediatamente precedenti sosteneva che la ricerca storica ha oramai screditato gli insegnamenti centrali della religione. Nello stesso periodo legge la Vita di Gesù di David Friedrich Strauß la quale sembra aver avuto un profondo effetto sul giovane. Scrivendo alla sorella, profondamente devota, una lettera a riguardo della propria perdita della fede, afferma: "se si vuol lottare per la pace dell'anima, si deve credere; ma se vuoi esser un devoto della verità, allora devi domandare".
Nel 1865 si iscrive all'Università di Lipsia per continuare a seguire le lezioni di filologia classica di Friedrich Ritschl, già suo insegnante a Bonn. Studia Teognide e la Suida, ma è più affascinato da Platone e soprattutto da Ralph Waldo Emerson e Arthur Schopenhauer, che avrebbero influenzato tutta la sua produzione. Soprattutto quest'ultimo, con la sua opera Il mondo come volontà e rappresentazione doveva risvegliare un appassionato e duraturo interesse filosofico.
Nel 1866 legge anche la Storia del materialismo di Friedrich Albert Lange; qui le descrizioni della filosofia anti-materialistica di Immanuel Kant, dell'ascesa del materialismo nel continente europeo, della crescente preoccupazione nei riguardi dell'evoluzionismo di Darwin e infine dell'atmosfera generale di ribellione all'autorità tradizionale incuriosirono notevolmente Nietzsche. Conosce nel 1867 Erwin Rohde, futuro autore di Psiche e nel frattempo approfondisce lo studio dell'opera di Diogene Laerzio, Omero, Democrito e del succitato Kant, mentre un suo saggio su Teognide appare nella rivista filologica Rheinisches Museum, diretta da Ritschl.
Il 9 ottobre comincia il servizio militare, avendo firmato per un anno come volontario, nel reggimento di artiglieria a cavallo dell'esercito prussiano di stanza a Naumburg. Nel marzo dell'anno successivo si infortuna seriamente allo sterno; mentre sta mandando il suo cavallo al galoppo colpisce violentemente con il petto il pomo della sella, strappandosi due muscoli del fianco sinistro: dopo sei mesi trascorsi immobilizzato, a ottobre si congeda anticipatamente. Tornato a Lipsia, l'Università lo premia per il suo saggio sulle fonti di Diogene Laerzio e lo assume come insegnante privato. L'8 novembre 1868 conosce Richard Wagner in casa dell'orientalista Hermann Brockhaus.
Grazie all'appoggio di Ritschl, il 13 febbraio 1869 ottiene la cattedra di lingua e letteratura greca dell'Università di Basilea come filologo classico, pur non avendo ancora completato né il proprio dottorato né ricevuto alcun certificato di abilitazione all'insegnamento; il 28 maggio tiene la prolusione d'insediamento sul tema Omero e la filologia classica, mentre l'Università di Lipsia gli concede la laurea sulla base delle sue pubblicazioni nel Rheinisches Museum. All'età di 25 anni Nietzsche chiede l'annullamento della sua precedente cittadinanza prussiana e diventa apolide: lo rimarrà ufficialmente per il resto dei suoi giorni.
Dal 17 maggio aveva cominciato a frequentare, nella villa di Tribschen, sul lago dei Quattro Cantoni nei pressi di Lucerna, Richard e Cosima Wagner, rimanendone fortemente colpito: «Ciò che imparo laggiù, che vedo e ascolto e intendo, è indescrivibile. Schopenhauer, Goethe, Eschilo e Pindaro vivono ancora». Nel periodo fra il 1869 e il 1870 collabora, come correttore di bozze (e più in generale come informale segretario-factotum), alla redazione di un'autobiografia di Wagner, destinata a non vedere la luce prima del 1911, ma alla cui conoscenza il filosofo allude apertamente, e con ironia, in uno scritto degli anni 1880:
«Man verspricht uns eine Selbstbiographie Richard Wagner’s: wer zweifelt daran, dass es eine kluge Selbstbiographie sein wird?…»
«Ci viene promessa un'autobiografia di Richard Wagner: chi dubita che sarà un'autobiografia avveduta?...»
Anche dopo la rottura ideologica con Wagner, conserverà sempre grande stima per Cosima, considerandola, tra le sue conoscenze, l'unica persona al suo stesso livello intellettuale. All'inizio del 1870 Nietzsche tiene a Basilea alcune conferenze ("Il dramma musicale greco", "Socrate e la tragedia"), che anticipano il suo primo volume, La nascita della tragedia (1872). A Basilea conosce il già famoso storico Jacob Burckhardt e stringe amicizia con il vicino di stanza alla pensione in cui risiede, il professore di teologia Franz Camille Overbeck, che gli rimarrà vicino fino alla morte e sarà grande estimatore delle sue opere, nonostante la sua posizione accademica rendesse la cosa alquanto imbarazzante, considerate le vedute di Nietzsche in materia di religione. Conosce anche l'opera di Afrikan Špir e ne rimane profondamente influenzato.
«Ich bin kein Mensch, ich bin Dynamit.»
«Io non sono un uomo, sono dinamite.»
Allo scoppio della guerra franco-prussiana (1870-1871) chiede di essere temporaneamente esonerato dall'insegnamento per partecipare, come infermiere addetto al trasporto dei feriti, alla guerra. Dopo appena due settimane passate al fronte contrae però la difterite e un principio di dissenteria, tanto che deve venire a sua volta curato ed è quindi congedato il 21 ottobre. Osserva con pacato scetticismo e un certo distacco la nascita dell'impero tedesco per opera di Otto von Bismarck.
Nella sua risposta polemica intitolata Filologia del futuro l'allora ancor giovane ma già affermato Ulrich von Wilamowitz-Moellendorff critica fortemente la mancanza di metodologia accademica utilizzata da Nietzsche per scrivere la Nascita della tragedia dallo spirito della musica, per seguire un approccio invece molto più speculativo; solamente Rohde, già insegnante a Kiel, e Wagner ne difendono la forma schierandosi al suo fianco; osservando il profondo isolamento in cui s'è venuto a trovare in quest'occasione all'interno della comunità filologica, tenta senza successo di passare di ruolo come professore di filosofia.
Nel frattempo scrive La visione dionisiaca del mondo, abbozza La tragedia e gli spiriti liberi e un dramma intitolato Empedocle, in cui vengono anticipati con molta chiarezza molti dei temi che verranno in seguito ripresi nelle opere della maturità. Fra il 1873 e il 1876 scrive le quattro Considerazioni inattuali le quali rappresentano un orientamento sempre più volto a una forte critica culturale del suo tempo: "David Strauss, il confessore e lo scrittore"; Sull'utilità e il danno della storia per la vita; "Schopenhauer come educatore" e infine "Richard Wagner a Bayreuth". Nel 1873 cominciava anche ad accumulare le note che sarebbero state pubblicate postume sotto il titolo di La filosofia nell'epoca tragica dei greci.
Le Inattuali sfidano la cultura tedesca allora in via di sviluppo sul solco dell'esempio dato e delle linee suggerite da Schopenhauer e Wagner; incontrò in questo momento Malwida von Meysenbug e Hans von Bülow, e iniziò anche una stretta amicizia e collaborazione con Paul Rée, studioso di filosofia di origine ebraica il quale a partire dal 1876 lo influenzò positivamente nel respingere il pessimismo tragico che pervadeva i suoi primi scritti, volgendosi così a un fase "illuministica".
Rimasto profondamente deluso dal Festival di Bayreuth del 1876, dove la banalità degli spettacoli e la bassezza del pubblico lo respinsero intimamente, Nietzsche comincia ad allontanarsi sempre più dal vecchio maestro Wagner, anche se la rottura ufficiale vi sarà solo con la pubblicazione di Umano, troppo umano ("Un libro per spiriti liberi").
Per motivi di salute (emicranie frequenti e dolori agli occhi, possibili sintomi della malattia che lo colpirà più tardi), ma anche indubbiamente per dedicarsi con assiduità ininterrotta alla sua attività filosofica, Nietzsche all'età di 34 anni (pressappoco la stessa età in cui suo padre fu colpito dalla propria malattia, cosa che angosciava Nietzsche) abbandona l'insegnamento. Gli viene riconosciuta una modesta pensione che costituirà, da quel momento in poi, l'unico suo reddito. Inizia la sua esistenza da perfetto apolide, con i suoi pellegrinaggi da viandante senza casa e senza patria.
Nietzsche si è spostato spesso da un luogo all'altro per trovare climi che potessero essere più favorevoli per la sua salute cagionevole e visse così fino al 1889 come autore indipendente in diverse città. Ha trascorso molte estati in località montane o termali, soprattutto a Sils Maria (dove la sua abitazione, la cosiddetta Casa Nietzsche, è aperta a visite e soggiorni) in Alta Engadina in Svizzera. Ha trascorso invece preferibilmente i suoi inverni nelle città italiane, sulla riviera ligure a Genova e Rapallo, infine a Torino. Sue altre mete frequenti e amatissime Venezia e la francese Nizza.
Nel 1881, quando la Francia occupò la Tunisia, aveva intenzione di recarsi a Tunisi per vedere l'Europa da fuori, ma poco dopo ha abbandonato una tale idea, probabilmente per motivi di salute. Occasionalmente tornò a Naumburg per visitare la sua famiglia, e, soprattutto in questo periodo, lui e la sorella continuarono ad avere periodi di conflitto e di ripetute riconciliazioni. Durante un breve viaggio in traghetto a Messina e Taormina frequenta "l'Arcadia" locale e inizia a scrivere Così parlò Zarathustra.
Durante la Pasqua del 1882 incontra a Roma, tramite la comune amica e nota scrittrice femminista Malwida von Meysenbug, Lou von Salomé una giovane studentessa russa in viaggio d'istruzione attraverso l'Europa. Si danno appuntamento presso la Basilica di San Pietro e Nietzsche la saluta con queste parole: «Da quali stelle siam caduti per incontrarci qui?». A maggio, durante una gita sul lago d'Orta passa alcune ore di intimità con questa ragazza ventunenne "intelligentissima". In seguito, la Salomé non ricordò se avesse baciato il filosofo, del quale comunque rifiutò una proposta di matrimonio (come del resto quella dell'amico di entrambi Paul Rée, che le aveva presentato Nietzsche e con il quale si era formato una sorta di rapporto triadico filosofico-sentimentale).
Questo incontro, proseguito poi attraverso due anni di intensi scambi affettivi e culturali, è molto particolare, in quanto si tratta di una delle rare esperienze sentimentali-affettive di Nietzsche con una donna di cui si abbia conoscenza. Nietzsche continuò poi a frequentare i due amici, reiterando proposte di matrimonio alla Salomé e baciandola due volte di seguito in pubblico, cosa che provocò la gelosia della sorella Elisabeth e il disappunto della madre Franziska, che ritenevano Lou una donna frivola e inadatta. In seguito lei si allontanò da Nietzsche e Ree, terminando questa sorta di amore platonico, sposando poi Carl Andreas e avendo numerose relazioni, come quella con Freud e con Rainer Maria Rilke. Questa delusione spinse Nietzsche a continuare alacremente il lavoro sullo Zarathustra, che portò a termine nel 1885.
Nel 1888, con già molte pubblicazioni alle spalle Nietzsche si trasferì a Torino, città che apprezzò particolarmente, e dove scriverà L'Anticristo, Il crepuscolo degli idoli ed Ecce Homo (pubblicato postumo).
Nel 1889 avvenne infine il famoso crollo mentale di Nietzsche, probabile effetto di una patologia neurologica: è datata 3 gennaio 1889 la prima crisi di follia in pubblico; mentre si trovava in piazza Carignano, nei pressi della sua casa torinese, vedendo il cavallo adibito al traino di una carrozza fustigato a sangue dal cocchiere, abbracciò l'animale, pianse, finendo per baciarlo; in seguito cadde a terra urlando in preda a spasmi. Per molti è un episodio leggendario e Nietzsche si sarebbe piuttosto limitato a fare vistose rimostranze e schiamazzi per i quali venne fermato e ammonito dalla polizia municipale. Alla luce delle testimonianze riferite da Davide Fino, proprietario dell'alloggio affittato da Nietzsche, a Karl Strecker (alla fine del 1888) ed alla sorella del filosofo, Elisabeth (nel 1889), si dovrebbe distinguere il presunto episodio "del cavallo" dal "crollo" di Nietzsche. Il primo risalirebbe alla fine '88, mentre il secondo consisterebbe nella caduta dalla scalinata di Piazza Carlo Alberto, dopo di che viene accompagnato a casa e "giacque due giorni sul divano, sempre parlando concitatamente da solo o scrivendo".
Le cause non sono mai state chiarite con certezza, ma sono state ipotizzate diverse possibilità, di cui tre probabili e altre meno: neurosifilide, diagnosi dell'epoca; psicosi maniaco-depressiva e avvelenamento cronico da mercurio (farmaco anti-sifilitico usato prima dell'avvento degli antibiotici); una serie di ictus con paralisi e demenza vascolare: ad esempio l'arteriopatia cerebrale genetica o (sindrome CADASIL è una demenza ereditaria causata micro-infarti cerebrali multipli subcorticali.
La CADASIL è considerata ipotesi accreditata poiché è una sindrome ereditaria solamente per via paterna, e occorre ricordare la famiglia materna era sana, mentre sia il padre sia il nonno di Nietzsche morirono per una malattia cerebrale non identificata.
Secondo alcuni, in un ambito meno medico e più filosofico, la concausa che lo spinse al crollo fu l'enorme sforzo creativo cui si sottopose negli anni precedenti, nonostante la salute che si stava deteriorando.
Sempre nello stesso periodo, Nietzsche scrive delle lettere ad amici e conoscenti che sono solitamente classificate sotto il nome di Biglietti della follia: in essi la sua crisi mentale appare ormai in uno stato avanzato, anche se lo stile non è affatto diverso da quello classico. Uno dei biglietti è indirizzato al re d'Italia Umberto I di Savoia, suo coetaneo (moriranno lo stesso anno) che Nietzsche apostrofa come "mio figlio", forse a causa di una leggera somiglianza fisica.
Viene ricoverato dall'amico Franz Camille Overbeck, teologo protestante e suo ex insegnante, a causa del suo stato alterato, che passava da momenti di esaltazione a tristezza profonda, prima in una clinica psichiatrica a Basilea (Svizzera) in cura dal dottor Wille, che gli diagnostica una "paralisi progressiva" di incerta origine e ipotizza per la prima volta la sifilide sulla base probabilmente di dati anamnesici erronei (l'affermazione del confuso Nietzsche di aver contratto "due volte" la lue nel 1866, e l'anisocoria pupillare ereditata dalla madre e presente dall'infanzia, che i medici scambiano per il segno neurologico sifilitico detto pupilla di Argyll Robertson); viene trasferito poi dalla madre a Naumburg (Assia, Germania), poi a Jena, in clinica dal dottor Otto Binswanger (esperto di paralisi e demenza, il quale conferma la diagnosi di Wille) e nella casa della madre (1890), per esser assistito da lei stessa e da due infermieri. La sorella Elisabeth tenterà poi di nascondere la diagnosi ipotizzata in manicomio attribuendo la follia a uso di sonniferi e altri farmaci, come morfina, oppio e cloralio assunti per l'emicrania negli anni precedenti.
Nei primi tempi pare abbastanza lucido, ma irritabile e senza più interesse per la filosofia e la scrittura, che pare non comprendere. Dopo il suicidio del marito (giugno 1889), la sorella Elisabeth Förster Nietzsche ritorna dal Paraguay nel 1893 e decide di occuparsi del fratello e della sua opera. Già dal 1892 Nietzsche gradualmente perde la memoria, e non riconosce le persone, salvo certi momenti di lucidità.
Nietzsche trascorre il suo tempo in un mutismo quasi totale, passeggiando con amici o suonando il pianoforte, fino all'aggravarsi delle condizioni fisiche (numerose paralisi, forse accentuate dalle eccessive dosi di farmaci per tenere sotto controllo gli attacchi di follia); talvolta parla con gli ospiti, ma è assente e i suoi ragionamenti spesso confusi. Nel 1893 perde l'uso delle gambe, ed è costretto a spostarsi con una sedia a rotelle, mentre dal 1894 soffre di perdita della parola, indici di danni cerebrali e spinali diffusi, anche se Sax racconta di una visita di un amico a Nietzsche nel 1899 in cui, secondo la testimonianza, il filosofo era ancora in grado di comunicare, in certi momenti, e non era incosciente, anche se poco reattivo, almeno fino all'ultimo anno di vita (pur all'oscuro del grande dibattito che i suoi scritti cominciavano a suscitare in Europa). Dopo il 1895 visse in stato semi-catatonico, rispondendo solo se sollecitato dalla sorella o dai familiari. Nel 1897 muore di tumore la madre, e nel 1898 e 1899 è colpito nuovamente da ictus, come già anni prima.
Rudolf Steiner descrive ne La mia vita l'incontro con il filosofo avvenuto nel 1896 e da egli definito come "ottenebrato". In quell'incontro egli affermò di essere riuscito a percepire "chiaroveggentemente", secondo le sue teorie più tarde di matrice antroposofico-teosofica, il corpo eterico parzialmente distaccato dal corpo fisico nella zona del capo.
«Là, disteso sul divano, giaceva l'Ottenebrato, con la sua fronte mirabilmente bella di artista e di pensatore. Erano le prime ore del pomeriggio. Gli occhi, pur essendo spenti, apparivano ancora pervasi d'anima; ma di quanto li circondava non accoglievano più che un'immagine a cui era ormai negato l'accesso all'anima. Stavamo dinanzi a lui, ma Nietzsche non lo sapeva. Eppure si sarebbe ancora potuto credere che quel volto spiritualizzato fosse l'espressione di un'anima la quale, nel corso del mattino, avesse intensamente pensato e volesse ora riposare un momento. Credetti che la scossa interiore da me provata si trasformasse in comprensione per il genio il cui sguardo mi fissava senza vedermi. La passività di quello sguardo, lungo e fisso, sprigionò la comprensione del mio proprio sguardo, che in quel momento poté lasciar agire la forza animica dell'occhio, senza che l'altro occhio lo incontrasse.»
Trasferitosi nel 1897 assieme a Elisabeth nella casa di Weimar (Turingia, Germania), dove la sorella ha fondato il Nietzsche-Archiv (a cui collabora un giovane Rudolf Steiner), vi muore di polmonite il 25 agosto 1900. Nonostante il suo dichiarato e profondo ateismo, per volontà di parenti e amici viene seppellito con cerimonia religiosa nel cimitero di Röcken.
Quanto la malattia abbia influenzato il pensiero filosofico di Nietzsche è materia di discussione fra gli studiosi da sempre. La natura della sua follia rimane ancora parzialmente un mistero, data la plausibilità di tutte le ipotesi. Nei frammenti teorizzava l'autodistruzione della reputazione tramite una follia volontaria come una forma di ascesi superiore. Come molti hanno ipotizzato, la causa del collasso nervoso, come detto anche prima, fu forse l'enorme tensione, insopportabile per la sua mente, dovuta allo sforzo creativo e filosofico svolto negli anni precedenti, come accenna egli stesso in un famoso aforisma:
«Wer mit Ungeheuern kämpft, mag zusehn, dass er nicht dabei zum Ungeheuer wird. Und wenn du lange in einen Abgrund blickst, blickt der Abgrund auch in dich hinein.»
«Chi lotta contro i mostri deve fare attenzione a non diventare lui stesso un mostro. E se tu riguarderai a lungo in un abisso, anche l'abisso vorrà guardare dentro di te»
La filosofia di Nietzsche prende le mosse dal suo complesso retroterra culturale, specialmente di filologo classico, ammiratore della tragedia greca e poi entusiasta estimatore della nuova musica post-romantica di Wagner, della quale si fa promotore sul piano estetico e filosofico, scorgendo in essa una spinta per la rinascita dello spirito tedesco. A ciò si connette strettamente un intenso studio delle filosofie presocratiche, ad esempio quella di Eraclito, e una loro affermazione rispetto all'egemonia tradizionale dell'impianto socratico-platonico.
Fondamentale per la formazione del giovane Nietzsche è altresì la lettura, nel 1866-67, de Il mondo come volontà e rappresentazione di Schopenhauer, incontro definito dal filosofo "caso divino". Così, in una riflessione registrata in una pagina autobiografica, Nietzsche ricorda la prima lettura del capolavoro schopenhaueriano:
«In esso ogni riga gridava la rinuncia, la negazione e la rassegnazione, lì io guardavo il mondo come dentro uno specchio, e insieme la mia vita e la mia anima, investito di orrore; in esso come fosse un Sole, il grande occhio dell'arte mi fissava, staccandomi dal mondo; io vi vedevo malattia e salvezza, esilio e rifugio e inferno quanto paradiso.»
Nella sua prima vera opera di argomento filosofico, La nascita della tragedia (1872), la tragedia greca viene vista come la massima espressione dello slancio vitale o "spirito dionisiaco", istintivo e irrazionale, che si coniuga e nello stesso tempo si contrappone a quello apollineo, che rappresenta l'ordine e la razionalità. Il pensiero apollineo e quello dionisiaco sono perciò così definiti:
«Finora abbiamo considerato il pensiero apollineo e il suo opposto, il dionisiaco, come forze artistiche che erompono dalla natura stessa, senza mediazione dell'artista umano e in cui gli impulsi artistici della natura trovano anzitutto e in via diretta soddisfazione: da una parte come mondo di immagini del sogno, la cui perfezione è senza alcuna connessione con l'altezza intellettuale o la cultura artistica del singolo; dall'altra parte come realtà piena di ebbrezza, che a sua volta non tiene conto dell'individuo e cerca di annientare l'individuo e di liberarlo con un sentimento mistico di unità.»
Ne La nascita della tragedia, Nietzsche individua per la prima volta in Socrate il corruttore della tragedia attica, e nella sua influenza sul tragediografo Euripide l'origine del prevalere dello spirito apollineo su quello dionisiaco, espresso dalla vecchia tragedia di Sofocle ed Eschilo. La corruzione dello spirito tragico è da Nietzsche considerata come l'originaria decadenza cui si deve una visione astratta e intellettualizzante della vita e della morale, determinata dall'"intellettualismo etico" socratico.
Altrettanto forte è l'avversione di Nietzsche nei confronti di Platone, che egli considera autore di una concezione del mondo fondata sull'idealità metafisica e sul disprezzo nei confronti della realtà tangibile. Da Platone egli ritiene esser nata quella continuità ideologica che lega Parmenide a Platone e poi Plotino, il cristianesimo (definito "platonismo per il popolo") fino all'idealismo tedesco dell'Ottocento.
Nietzsche attacca, quindi, i tradizionali valori fondamentali della società (della metafisica, del Cristianesimo, della democrazia, del nazionalismo e del Socialismo), sostenendo la natura meramente metaforica e prospettica di qualsiasi principio trascendente e della stessa morale, così come di ogni concezione tradizionale. Il suo obiettivo era di smascherare la falsità e l'ipocrisia del sistema culturale su cui si fondava l'Europa dei suoi tempi e in particolare il mondo germanico, ma tutta la storia dell'Occidente è vista come un lungo processo di decadenza dell'uomo, come negazione della vita, quando invece l'affermazione della libertà avrebbe dovuto essere il destino dell'uomo.
I grandi valori della cultura occidentale, quali la verità, la scienza, il progresso, la religione, sono così da smascherare nella loro mancanza di fondamento e nella loro natura di mera finzione. C'è nell'uomo una sostanziale paura verso la creatività della vita e la volontà di potenza, che produce valori collettivi sotto la cui giurisdizione la vita viene disciplinata, regolata, schematizzata.
Un tale nichilismo è tuttavia soggetto, nelle opere di Nietzsche, a una caratterizzazione più profonda e problematica, che egli giunge a delineare in due aspetti fondamentali. La prima forma di nichilismo, il nichilismo passivo (di cui un esempio è ravvisato in Schopenhauer) coincide con la perdita di fiducia dell'uomo europeo verso i valori della propria civiltà; coincide con la "diminuzione vitale", caratterizzata diversamente come perversione della volontà di potenza. Con nichilismo attivo, invece, Nietzsche intende l'atteggiamento che, fattosi forte di una demolizione dei vincoli metafisici che sopprimevano la forza vitale, si propone come creatore di nuove tavole di valori attraverso la loro trasvalutazione.
Deve tenersi presente che le determinazioni che portano Nietzsche al nichilismo derivano dal convincimento della necessità del distacco oggettuale e relazionale che portano da un lato all'affermazione non di un valore determinato ma di valori fluenti che sono alla base della trasvalutazione e che dall'altro consentono nell'analisi della oggettività di disceverare l'oggetto e l'altro ma nello stesso tempo di racchiudere il pensiero in sé stesso a realizzare proprio attraverso tale distacco la volontà di potenza.
È attraverso tale chiusura del pensiero in sé stesso che viene determinato il nichilismo di Nietzsche anche in quanto costituente la scissione dell'interno dall'esterno e attraverso cui si realizza la possibilità di cogliere l'opposizione dicotomica nel pensiero tra razionale in quanto sistematico e irrazionale in quanto nichilistico e distruttivo, rispetto alla quale dinamica si coglie una prospettiva della distinzione e del pari operativismo di nichilismo esteriore e di nichilismo interiore, processo in cui il nichilismo interiore correlato, tramite il dionisiaco, all'istinto ossia alla soddisfazione pone nello stesso tempo la relazione alla volontà di potenza fattori che si relazionano all'esaltazione del dionisiaco come irrazionale anche in quanto fattore non comprimibile e dunque enucleante appieno la possibilità di realizzare la volontà di potenza.
Da tale aspetto fondamentale di Nietzsche connotante il distacco oggettuale e la relazione con l'altro deriva anche il suo apprezzamento, da un lato, della caratteristica della assenza di compassione, che è uno dei fondamenti a base della trasvalutazione e che se non così fondata entrerebbe in contraddizione con il suo nichilismo e dall'altro il suo apprezzamento per i passi biblici e per l'ebraismo che si fondano sulla giustizia divina e in particolare sulla legge dell'"occhio per occhio e dente per dente" cui si unisce appunto quel distacco alla cui base vi è un'assenza di affettività che consente l'affermazione del valore del momento in rispondenza alla volontà di potenza e alla necessità di esistenza dell'esterno anche come altro-soggetto.
L'uomo, per Nietzsche, ha dovuto illudersi per dare un senso all'esistenza, in quanto ha avuto paura della verità, non essendo stato capace di accettare l'idea che "la vita non ha alcun senso", che non c'è nessun "oltre" di essa e che va vissuta con desiderio e libero abbandono pieno di "fisicità". Se il mondo avesse un senso e se fosse costruito secondo criteri di razionalità, di giustizia e di bellezza, l'uomo non avrebbe bisogno di auto-illudersi per sopravvivere, costruendo metafisiche, religioni e morali. L'umanità occidentale, passata attraverso il cristianesimo, percepisce ora un senso di vuoto, trova che "Dio è morto", cioè che ogni costruzione metafisica vien meno davanti alla scoperta che il mondo è un caos irrazionale. Fino a che non sorgerà l'Oltreuomo, cioè un uomo in grado di sopportare l'idea secondo cui l'Universo non ha un senso, l'umanità continuerà a cercare dei valori assoluti che possano rimpiazzare il vecchio dio (inteso come qualsiasi tipo di realtà ultraterrena e non come semplice entità quale potrebbe essere il Dio cristiano); dei sostituti idolatrici quali, ad esempio, lo Stato, la scienza e il denaro.
La mancanza, però, di un senso metafisico della vita e dell'universo fa rimanere l'uomo nel nichilismo passivo, o disperazione nichilista. È tuttavia possibile uscire da tale nichilismo comprendendo questa visione e riconoscendo che è l'uomo stesso la sorgente di tutti i valori e delle virtù della volontà di potenza (nichilismo attivo). L'uomo, ergendosi al di sopra del caos della vita, può generare propri significati e imporre la propria volontà. Chi riesce a compiere questa impresa è l'Oltreuomo, cioè l'uomo che ha compreso che è lui stesso a dare significato alla vita. Attraverso le tre metamorfosi dello spirito, di cui parla nel primo discorso del testo Così parlò Zarathustra, Nietzsche mostra come il motto "Tu devi" vada trasformato dapprima nell'"Io voglio", e infine in un sacro "Dire di sì", espresso dalla figura del fanciullo giocondo.
Ovviamente il nichilismo attivo non giustifica i modelli valoriali proposti nel corso dei secoli per dare senso alla realtà, poiché questi non sono altro che il frutto dello spirito apollineo e, pertanto, non corrispondono all'effettiva essenza dell'uomo, che è dionisiaco, ossia legato inscindibilmente a quei "valori" (vitalità, potenza) intrinseci alla sua natura terrena:
«Si trasformi l'Inno alla Gioia di Beethoven in un quadro e non si rimanga indietro con l'immaginazione, quando i milioni si prosternano rabbrividendo nella polvere: così ci si potrà avvicinare al Dionisiaco. [...] e ai colpi di scalpello dell'artista cosmico dionisiaco risuona il grido dei misteri eleusini: "Vi prosternate milioni? Senti il creatore, mondo?".»
Nel primo testo filosofico di Nietzsche La nascita della tragedia del 1872, che è anche una messa a fuoco della sua cultura classica e della mitologia greca, egli concentra la sua attenzione sulle origini del teatro nell'antica Grecia. Si serve di e teorizza perciò due concetti-base, che diverranno poi "ideologici" per lo stesso autore e portatori di numerosi valori, lo spirito dionisiaco e lo spirito apollineo. Il dionisiaco (dal dio Dioniso) in quanto "ebbrezza" rappresenta l'elemento dell'affermazione della vita, della spontaneità, dell'istinto umano, della giocosità e raffigurerà nelle successive opere la volontà di potenza. È l'impulso che esprime la forza vitale propria dell'oltreuomo nella sua totale libertà, l'ebbrezza che trova la sua manifestazione più compiuta nella musica e nella danza.
Il "dionisiaco" gioca dialetticamente con il proprio contraltare, l'"apollineo", ovvero l'armonia delle forme e del vivere. Quando Dioniso vive è Apollo a dormire, viceversa quando Apollo si rappresenta ed è in superficie, Dioniso è "sotterraneo". Il dionisiaco è un continuo ciclo "vita-morte-vita", attraverso il quale tutte le arti sono state create e si sono modificate. L'apollineo è la luce del giorno razionalizzata nell'arte plastica degli scultori dell'epoca classica. L'"apollineo" rappresenta anche la ratio umana che porta equilibrio nell'uomo, che è capace di concepire l'essenza del mondo come ordine e che lo spinge a produrre forme armoniose rassicuranti e razionali. Senza di esso, nell'uomo ci sarebbe un'esplosione di emozioni incontrollate e bisognose di essere controllate.
Molto complesso è lo studio che il filologo Nietzsche fa delle arti greche e della tragedia in particolare. Nel "ditirambo" del coro tragico greco era insito lo spirito dionisiaco (Nietzsche lo chiama appunto "ditirambo dionisiaco"). Nella parola come sempre Nietzsche ricerca la chiave per l'interpretazione della realtà e per portare in luce ciò che i concetti hanno di arcano dentro. In quanto filologo, ancor prima che filosofo, è sempre il "verbo" il suo primo amore. Dal ditirambo, che è il nucleo del "coro", al testo poetico in cui è scritto il dramma, si svolge la continua alternanza dei due dèi greci Apollo e Dioniso, fino alla suprema e sublime armonia.
L'analisi delle origini della tragedia greca, scorre lungo il testo nietzschiano attraversando tutta la storia di questo lungo percorso, da Archiloco a Euripide, passando per Eschilo e Sofocle fino alla sua stessa fine: la morte della tragedia avvenne per mano di Socrate ovvero di ciò che il filosofo ha rappresentato per la grecità e le sue espressioni artistiche.
Ma come la tragedia ebbe origine dalla musica, Nietzsche auspica che allo stesso modo possa rinascere. Da qui la critica profonda e sentita all'"Opera", in quanto genere artistico in cui vivono inconciliabili contraddizioni di carattere estetico e filosofico. Forte è l'esortazione del filosofo al musicista Richard Wagner - al quale era dedicata l'opera - e ad altri non specificati artisti contemporanei affinché ritrovino e ridestino l'ebbrezza dionisiaca insita nella musica e su di essa, assieme al mito tragico, inaugurino una nuova epoca tragica:
«Meine Freunde, ihr, die ihr an die dionysische Musik glaubt, ihr wisst auch, was für uns die Tragödie bedeutet. In ihr haben wir, wiedergeboren aus der Musik, den tragischen Mythus – und in ihm dürft ihr Alles hoffen und das Schmerzlichste vergessen! Das Schmerzlichste aber ist für uns alle - die lange Entwürdigung, unter der der deutsche Genius, entfremdet von Haus und Heimat, im Dienst tückischer Zwerge lebte. Ihr versteht das Wort - wie ihr auch, zum Schluß, meine Hoffnungen verstehen werdet.»
«Amici miei, voi che credete nella musica dionisiaca, sapete anche che cosa significhi per noi la tragedia. In essa noi abbiamo, rinato dalla musica, il mito tragico – e in questo potete sperare tutto e dimenticare ciò che è più doloroso! Ma ciò che è più doloroso per tutti noi - il lungo degrado nel quale, lontano da casa e dalla sua patria, al servizio di perfidi nani, è vissuto il genio tedesco. Voi capite quello che dico, così come, infine, capirete le mie speranze.»
Secondo Nietzsche la decadenza è il rifiuto dell'amore per la vita e della creatività, della spontaneità del vivere naturale e nello stesso tempo "tragico", dunque dello spirito dionisiaco. Per lui colui che per primo ha condizionato negativamente la civiltà occidentale verso questo annullamento della vita è stato Socrate: l'errore di Socrate è di aver sostituito alla vita il pensare alla vita e la conseguenza di ciò è il non-vivere.
Socrate ritiene che la ragione sia l'essenza dell'uomo e che le passioni, residuo di animalità, possano e debbano essere dominate. Per Socrate una vita fondata sulla ragione è una vita felice, mentre una vita dominata dalle passioni è destinata a dolorosi conflitti e turbamenti. Anche Platone ha indirizzato la vita verso un mondo astratto e irreale, e in questo processo di decadenza si inserisce poi il Cristianesimo. Quest'ultimo ha prodotto un modello di uomo malato e represso, in preda a continui sensi di colpa che avvelenano la sua esistenza, dettati dal motto cristiano del continuo pentimento e della richiesta implorata di salvezza e perdono.
Perciò l'uomo cristiano, al di là della propria maschera di serenità, è psichicamente tormentato, nasconde dentro di sé un'aggressività rabbiosa contro la vita ed è animato da risentimento contro il prossimo. Nietzsche crea in questo periodo le metafore del guerriero e del sacerdote: il primo rappresenta il manifestarsi della volontà di potenza, il secondo invece, timoroso dei propri mezzi, costituisce il "sottomesso" che a una morale dei forti, antepone una morale dei deboli, facilmente accessibile, che costituisce la negazione vera e propria dell'incondizionata gioia di vivere.
Più che con la figura di Gesù (verso cui manifesta simpatia, considerandolo un "santo anarchico, sia pure un po' idiota") Nietzsche è polemico contro il Cristianesimo, in quanto religione dei «poveri di spirito», fondata sul risentimento e sulla cattiva coscienza. L'idiozia del Cristo non deve però caricarsi di una sola accezione negativa: "idiota" è l'individuo che non partecipa della collettività, del modus intellegendi condiviso, e sposta la sua attenzione verso la propria interiorità abbandonando la realtà. Il filosofo accusa la religione cristiana di creare questo equivoco e di essere uno pseudo-umanesimo, colpevole di «agire pietosamente verso tutti i malriusciti e i deboli». Opponendosi alla vera filantropia e all'aggressività naturale della lotta per l'esistenza: «I deboli e i malriusciti devono perire, questo è il principio del nostro amore per gli uomini.» Egli contesta soprattutto il fatto che «l'individuo fu considerato dal cristianesimo così importante, posto in modo così assoluto, che non lo si poté più sacrificare, ma la specie sussiste solo grazie a sacrifici umani». A questo proposito afferma anche che «"L'uomo è cattivo", così parlano con mio conforto i più saggi. Ah se fosse pur vero anche oggi! Giacché il male è la migliore energia dell'uomo». Nonostante questo, Nietzsche dichiara relativi e falsi i concetti di bene e male, che dovranno essere superati, in quanto «quel che si fa per amore, è sempre al di là del bene e del male.»
In Così parlò Zarathustra egli dichiara invece:
«Ich beschwöre euch, meine Brüder, bleibt der Erde treu und glaubt Denen nicht, welche euch von überirdischen Hoffnungen reden! Giftmischer sind es, ob sie es wissen oder nicht. Verächter des Lebens sind es, Absterbende und selber Vergiftete, deren die Erde müde ist: so mögen sie dahinfahren!»
«Vi scongiuro, fratelli, restate fedeli alla terra e non credete a quelli che vi parlano di sovraterrene speranze! Essi sono degli avvelenatori, che lo sappiano o no. Sono spregiatori della vita, moribondi ed essi stessi avvelenati, dei quali la terra è stanca: se ne vadano pure!»
Da ciò la proposta di Nietzsche di una trasmutazione o inversione dei valori. Si proclama egli stesso il "primo immoralista" della storia; egli non intende tuttavia proporre l'abolizione di ogni valore o l'affermazione di un tipo di uomo in preda al gioco sfrenato degli istinti, ma contrappone ai valori antivitali della morale pessimistica tradizionale una nuova tavola di valori a misura del carattere terreno dell'uomo. Per Nietzsche l'uomo è nato per vivere sulla Terra, la sua esistenza è interamente corpo, realtà sensibile. Infatti Zarathustra afferma: io sono corpo tutto intero e nient'altro. L'anima, secondo Nietzsche, è solo un'immagine metaforica e semplicistica della ricchissima varietà di desideri, inclinazioni e sensazioni che attraversano il corpo in ogni istante: questa rivendicazione della natura terrestre dell'uomo è implicita nell'accettazione totale della vita che è propria dello spirito dionisiaco e dell'immagine dell'oltreuomo. La Terra non è più l'esilio e il deserto dell'uomo, ma la sua dimora gioiosa.
Secondo Eugen Fink, che per primo ha parlato dell'"Illuminismo di Nietzsche" questo percorso, che inizia con Umano, troppo umano (1878-1880), coincide con l'avvento della scrittura aforistica, e risulta caratterizzato dal ripudio dei vecchi maestri, come Schopenhauer e, in particolare, Wagner. Nietzsche rinnega la stima e l'amicizia personale con il musicista, di cui tanto aveva ammirato L'Anello del Nibelungo e il Tristano e Isotta, in quanto simboli dell'umana lotta nel tentativo di convivere con i propri impulsi annullandosi nella materia, al di fuori di qualsiasi concetto religioso. Ora lo accusa di essere diventato un tipico decadente, che con il Parsifal ricade nel più becero misticismo cristiano, quale ridicola rappresentazione di un mondo fasullo e immaginario.
In questo periodo, il filosofo abbandona la "metafisica dell'artista" (anche questa una definizione del sopracitato Fink), per privilegiare la scienza. Considererà l'arte come il residuo di una cultura mitica. Il redentore della cultura non sarà più l'artista o il genio (come invece pensava Wagner) ma il filosofo educato "alla scuola della scienza". Sarà illuminista, nel senso che si troverà impegnato in un'opera di critica della cultura tramite la scienza, che egli ritiene sia un metodo di pensiero, piuttosto che un insieme di tutte le scienze particolari. Un metodo critico di tipo storico e genealogico, perché non esistono realtà immutabili e statiche, ma ogni cosa è l'esito di un processo che va ricostruito.
I concetti base di questo periodo sono lo spirito libero e la filosofia del mattino. Lo spirito libero si identifica con il viandante, cioè con colui che grazie alla scienza riesce a emanciparsi dalle tenebre del passato, inaugurando una filosofia del mattino che si basa sulla concezione della vita come transitorietà e come libero esperimento senza certezze precostituite.
«Gott ist tot! Gott bleibt tot! Und wir haben ihn getötet!»
«Dio è morto! Dio resta morto! E lo abbiamo ucciso noi!»
L'affermazione della libertà e della spontaneità presuppone il superamento dei condizionamenti, delle regole, degli obblighi derivanti dalle credenze religiose o comunque dal riferimento a entità metafisiche. Ma comporta anche una conseguenza che pochi hanno la forza sufficiente per affrontare: assumersi la piena e definitiva responsabilità di ogni decisione, di ogni azione. Ogni comportamento è soggetto a una decisione individuale in quanto non esistono più valori trascendenti sui quali appiattirsi in modo conformistico. I contemporanei di Nietzsche dimostrano in mille circostanze di non essere più guidati dalla fede come poteva accadere agli uomini del Medioevo ma, per non essere obbligati ad affrontare le proprie responsabilità, non vogliono riconoscerlo neppure di fronte a sé stessi.
Celebre è la figura dell'"uomo folle" ("der tolle Mensch") ne La gaia scienza, che gira in pieno giorno con una lanterna accesa, urlando "Cerco Dio!", attirandosi così lo scherno dei presenti. Alla richiesta di spiegazioni l'uomo afferma che Dio è morto, ovvero che nessuno crede più veramente. Ma nell'atto stesso di compiere questa affermazione si trova di fronte allo scetticismo e all'indifferenza, quando non alla derisione. Egli stesso si definisce come il "testimone" di un omicidio compiuto dall'intera umanità. E allora: "Vengo troppo presto" egli ammette, poiché gli uomini non sono ancora pronti ad accettare questo cambiamento epocale. I valori tradizionali sono sempre più pallidi, sempre più estranei alla coscienza, ma i nuovi valori, quelli della gioiosa accettazione della vita e della fedeltà alla terra, sono ancora al di là dell'orizzonte: "Questo enorme evento è ancora per strada e sta facendo il suo cammino".
L'annuncio della morte di Dio ha una straordinaria efficacia retorica e forse anche per questo non è stato sempre compreso a fondo: taluni interpreti si sono limitati a leggerlo come l'ennesimo attacco al Cristianesimo e non ne hanno percepito la profondità e la complessità. Infatti Nietzsche con questa affermazione intende annunciare la fine di ogni realtà trascendente, indipendentemente dal culto che predichi tale realtà. Egli considera ciò come il compimento di un processo nichilistico necessario, le cui radici si ritrovano nell'atto di omissione e di oblio del dionisiaco, che ha consentito all'apollineo, nel corso della secolarizzazione, di trovare modelli metafisici ragionevoli, capaci di giustificare il "senso dell'essere", ma che prima o poi, secondo l'autore tedesco, avrebbero dovuto fare i conti con la vera essenza vitale della natura umana, quale, appunto, il dionisiaco, ossia ciò che lega alla terra e alla vita.
Nietzsche è anche considerato, e non senza buoni motivi, come uno dei precursori dell'esistenzialismo ateo moderno per alcuni elementi etici che lo anticipano, per quanto questo si caratterizzi per aspetti di pessimismo esistenziale che in Nietzsche sono in gran parte assenti.
«Man muss noch Chaos in sich haben, um einen tanzenden Stern gebären zu können.»
«Bisogna avere ancora il caos dentro di sé per generare una stella danzante.»
Nietzsche, radicalizzando il "plus man" emersoniano e la critica emersoniana del culto degli eroi di Carlyle, ma ispirandosi anche al Singolo di Kierkegaard e all'Unico di Max Stirner, propugna l'avvento di un nuovo tipo di uomo, individualista e capace di liberarsi dai pregiudizi e dai vecchi schemi, di smascherare con il metodo genealogico l'origine umana troppo umana dei valori, nonché di farsi consapevole creatore di valori nuovi: l'oltreuomo. Non sarebbe corretto definire un uomo del genere superuomo: super indica sopra, quindi "super-uomo" vuol dire "colui che è sopra gli uomini" e li schiaccia. Secondo l'interpretazione di Gianni Vattimo, introdotta nel suo testo Il soggetto e la maschera, il termine oltre-uomo, "colui che ha superato l'uomo ed è andato oltre la sua condizione", rispecchia meglio il concetto espresso dal filosofo di Röcken, oltre a essere la traduzione letterale del tedesco Übermensch, mentre super-uomo dovrebbe essere tradotto come Oben-Mensch.
L'interpretazione di Gianni Vattimo è però contestata dal filosofo Domenico Losurdo, il quale contesta Nietzsche affermando esplicitamente che egli appoggiasse una società schiavistica comandata dal Superuomo aristocratico, talvolta argomentando che gli schiavi venivano trattati meglio dei moderni operai e accusandolo anche di appoggio all'eugenetica. Questa moralità aristocratica degli scritti degli ultimi anni, accreditata soprattutto dal nazismo, è spesso invece considerata, dalla maggioranza dei commentatori, come una metafora della superiorità dell'uomo-filosofo sull'uomo comune, anziché come una reale proposta di società tradizionale, come intesa sia da filosofi di sinistra, come Losurdo stesso, sia da pensatori di estrema destra come Julius Evola e Alfred Baeumler, sia da intellettuali critici come Gilbert Keith Chesterton, che interpretano Nietzsche in maniera letterale. L'interpretazione letterale di testi che fanno così ampio uso di metafore, come quella di Nietzsche difensore dello schiavismo, è stata invece contestata da molti studiosi e pensatori che si sono definiti "nietzscheani", come Michel Onfray. Più che di precursore del nazismo e sostenitore di una società che sottometta i deboli, da molti critici è invece visto come un elitario indifferente e aristocratico.
«Il verbo di Nietzsche mi ripugna profondamente; stento a trovarvi un’affermazione che non coincida con il contrario di quanto mi piace pensare; mi infastidisce il suo tono oracolare; ma mi pare che non vi compaia mai il desiderio della sofferenza altrui. L’indifferenza sì, quasi in ogni pagina, ma mai la Schadenfreude, la gioia per il danno del prossimo, né tanto meno la gioia del far deliberatamente soffrire. Il dolore del volgo, degli Ungestalten, degli informi, dei non-nati-nobili, è un prezzo da pagare per l’avvento del regno degli eletti; è un male minore, comunque sempre un male; non è desiderabile in sé. Ben diversi erano il verbo e la prassi hitleriani.»
L'oltreuomo, secondo la comune interpretazione (Vattimo, Colli, Montinari), non schiaccia invece gli altri ma procede al di là delle convenzioni e dei pregiudizi che attanagliano l'uomo. Esso ha dei valori differenti da quelli della massa degli uomini, quella massa che ha aderito alla filosofia dei sacerdoti e degli imbonitori per farsi schiava di essi. Egli solo è in grado di non sostituire ai vecchi idoli quelli nuovi, ma fondare il nuovo mondo, e l'uomo attuale non è altro che "una corda tesa tra la scimmia e l'oltreuomo" stesso, secondo le parole di Nietzsche. L'oltreuomo è colui che ha compreso che è lui stesso a dare significato alla vita e fa sua la cosiddetta "morale aristocratica" che "dice sì" alla vita e al mondo. L'oltreuomo è discepolo di Dioniso poiché accetta la vita in tutte le sue manifestazioni, nel piacere del divenire inteso come alternanza di vita e morte, gioia e dolore. Affronta la vita con "pessimismo coraggioso", unisce il fatalismo (amor fati) alla fiducia e si è liberato dai logori concetti del bene e del male attraverso un'elitaria indifferenza a valori etici che considera morti.
Di qui l'ammirazione di Nietzsche sia per la tragedia greca (in particolare Eschilo), quale mezzo educativo all'eroica tragicità della vita, sia per il prometeico istinto dell'uomo rinascimentale (l'uomo universale) che nella sua completezza teorica e pratica sapeva tendere oltre l'"umano troppo umano"; con una magnificenza creatrice, culturale e politica, che quell'impulso vitale, "al di là del bene e del male", comporta. Per lui, e ai suoi tempi, ancora incarnato in particolare da Napoleone e Goethe.
Per l'oltreuomo ogni istante è il centro del suo tempo di cui è sempre protagonista. L'eterno ritorno, cioè l'eterna ripetizione, è la dottrina che Nietzsche mette a capo della nuova concezione del mondo e dell'agire umano. Per Nietzsche ogni momento del tempo, cioè l'attimo presente, va vissuto in modo spontaneo, senza continuità con passato e futuro, perché passato e futuro sono illusori: infatti ogni momento si ripete identico nel passato e nel futuro, come un dado che, lanciato all'infinito (poiché il tempo è infinito), darà un numero infinito di volte gli stessi numeri, in quanto le sue scelte sono un numero finito. Il vero oltreuomo è, in conclusione, colui che danza - non più in catene - liberamente e con leggiadria; è lo spirito libero tout court.
«Che accadrebbe se un giorno o una notte, un demone strisciasse furtivo nella più solitaria delle tue solitudini e ti dicesse: “Questa vita, come tu ora la vivi e l'hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte, e non ci sarà in essa mai niente di nuovo, ma ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro, e ogni indicibilmente piccola e grande cosa della tua vita dovrà fare ritorno a te, e tutte nella stessa sequenza e successione [...]. L'eterna clessidra dell'esistenza viene sempre di nuovo capovolta e tu con essa, granello della polvere!". Non ti rovesceresti a terra, digrignando i denti e maledicendo il demone che così ha parlato? Oppure hai forse vissuto una volta un attimo immenso, in cui questa sarebbe stata la tua risposta: "Tu sei un dio e mai intesi cosa più divina"?.»
Nietzsche elabora un suo modo di intendere il tempo liberandolo dal trascendente e quindi dalla fiducia nell'avvenire. In Così parlò Zarathustra (nel capitolo Della visione e dell'enigma, §2), Zarathustra (protagonista dell'opera) racconta di aver avuto una visione mentre scalava un monte. L'eterno ritorno dell'uguale, più spesso detto soltanto eterno ritorno, significa che l'universo rinasce e rimuore in base a cicli temporali fissati e necessari, ripetendo eternamente un certo corso e rimanendo sempre sé stesso.
In senso più specifico, l'eterno ritorno è uno dei capisaldi della filosofia di Friedrich Nietzsche. Il ragionamento che sta dietro al semplice – ma spesso incompreso – concetto di Nietzsche è il seguente: in un sistema finito, con un tempo infinito, ogni combinazione si ripeterà necessariamente infinite volte. Ad esempio, tirando infinite volte tre dadi a sei facce, ognuna delle 216 combinazioni comparirà infinite volte. Mentre è spiegato in termini poetici ne La gaia scienza e Così parlò Zarathustra, egli lo spiega in termini quasi scientifici nei Frammenti postumi, e questa formulazione ha affascinato molti fisici e matematici successivi:
«La misura della forza del cosmo è determinata, non è "infinita": guardiamoci da questi eccessi del concetto! Conseguentemente, il numero delle posizioni, dei mutamenti, delle combinazioni e degli sviluppi di questa forza è certamente immane e in sostanza "non misurabile"; ma in ogni caso è anche determinato e non infinito. È vero che il tempo nel quale il cosmo esercita la sua forza è infinito, cioè la forza è eternamente uguale ed eternamente attiva: fino a questo attimo, è già trascorsa un'infinità, cioè tutti i possibili sviluppi debbono già essere esistiti. Conseguentemente, lo sviluppo momentaneo deve essere una ripetizione, e così quello che lo ha generato e quello che da esso nasce, e così via: in avanti e all'indietro! Tutto è esistito innumerevoli volte, in quanto la condizione complessiva di tutte le forze ritorna sempre.»
Nel capitolo dello Zarathustra intitolato La visione e l'enigma, Nietzsche introduce sotto forma di mito il pensiero dell'eterno ritorno dell'uguale (già evocato nel capitolo Della redenzione, allorché Zarathustra si rifiuta di enunciare ciò che insegna alla volontà, ossia il volere a ritroso), attraverso il dialogo tra il profeta e il nano, personificazione dello spirito di gravità: «Tutte le cose diritte mentono. Ogni verità è ricurva, il tempo stesso è un circolo» è l'opinione del nano. Questa prima interpretazione è però giudicata come troppo superficiale («Tu, spirito di gravità! – replica infatti Zarathustra – non prendere la cosa troppo alla leggera!») e portatrice di una generica professione di fede nella circolarità e insensatezza del tutto (nichilismo passivo). Nella seconda parte però, Zarathustra espone la sua controinterpretazione della visione della "porta carraia" - dalla quale si dipartono le due "strade infinite", quella del passato e quella del futuro - che aggiunge caratteri essenziali alla prima interpretazione del nano. La novità di questa controinterpretazione consiste nel fatto che Zarathustra va a fondo e tocca l'argomento decisivo che pone il punto di svolta dal nichilismo passivo al nichilismo attivo. Non solo tutto ciò che diviene deve essere già stato vissuto, ma soprattutto la porta stessa, l'attimo presente, deve già essere stata in passato. Si è dunque raggiunto il piano di passaggio dal nichilismo passivo al nichilismo attivo, quindi dall'eterno ritorno come pensiero paralizzante, all'eterno ritorno come liberazione dal simbolico (viene confutata in parte la prima interpretazione del nano). L'attimo è compreso nell'eterno circolo di passato e futuro.
Successivamente, Zarathustra è come ridestato dall'ululato di un cane che gli permette di cambiare scena. Egli vede il cane quasi chiedere aiuto vicino a un pastore, che è come soffocato da un serpente, la cui testa esce dalla sua bocca. Il serpente, nello specifico, indica l'eterno ritorno ed è come se il pastore fosse soffocato da questa concezione dell'eterno circolo del tempo. Un gesto fondamentale, fa tornare il sorriso sulle sue labbra, ormai non più sofferenti, del pastore ("mai prima al mondo aveva riso un uomo, come lui rise!"): questi infatti aveva morso e staccato la testa al serpente, indicando così allegoricamente l'accettazione dell'eterno ritorno. È importante sottolineare come l'accettazione dell'eterno ritorno sia dovuta a una decisione del pastore: se questi non avesse mai morso la testa al serpente, non sarebbe mai stato in grado di accettarlo e di istituirlo. Vi è quindi un attimo in cui il pastore istituisce, cioè vuole, il ripetersi eterno della vita e dell'istante.
Solo se l'attimo che l'uomo vive è immenso, cioè ingloba in sé tutto il suo significato, si può volerlo sempre di nuovo. L'uomo che può volere l'eterno ritorno è un uomo felice, a cui la vita dà attimi “immensi”, come testimonianza piena di esistenza e significato. In quest'opera è possibile vedere il ruolo di Nietzsche come "difensore" di un tempo qualitativo, qualificato nella sua densità dai contenuti vissuti. Famosa la definizione dell'"imperativo categorico" di Nietzsche: "vivere in modo da poter desiderare di rivivere questa stessa vita in ripetizione eterna". Correlata alla tematica dell'eterno ritorno e quindi al principio del movimento è la trasvalutazione dei valori che da alcuni è stata intesa come capovolgimento dei valori.
Il capovolgimento reca in sé l'affermazione di un valore ulteriore. Mentre la trasvalutazione è legata al fluire del valore stesso senza preminenza di alcuno in particolare, e quindi al superamento del valore. Riprendendo Nietzsche quando parla di Eraclito, l'unico filosofo a cui si sente legato, afferma che il movimento reca in sé la possibilità dell'annientamento. Tradotto in termini filosofici e legato questo concetto a quello caro a Nietzsche della trasvalutazione, non vi può essere una morale né un valore assoluto ma valori istintuali che si annientano nel movimento. Se non fosse così si considererebbe Nietzsche un moralista o un idealista.
La particolarità del pensiero di Nietzsche, la sua unicità, ha sempre generato nella critica degli interrogativi. Una delle domande che ci si è posti nella storia della critica a Nietzsche è la considerazione su qual è il "vero" Nietzsche ovvero quale fosse il suo reale intento e cosa volesse comunicare nelle sue opere ovvero quanto di ciò che ha lasciato è filtrabile in maniera lucida separandolo dalla parabola discendente della sua malattia mentale.
La sua filosofia, infatti, è in bilico tra la negazione totale della cultura e del pensiero occidentale (si veda la sua critica al razionalismo, importantissimo nella filosofia occidentale) e la creazione di un nuovo sistema di valori, incentrati sulla figura dell'Oltreuomo, sull'eterno ritorno e sulla volontà di potenza. Nietzsche, infatti, voleva senza dubbio eliminare il campo da ogni "mito", che appartenesse alla morale religiosa (da lui definita "morale dei vinti") o alla filosofia, con i miti laici di progresso, razionalismo, positivismo e idealismo. Tuttavia è lecito domandarsi se questa volontà distruttrice dei valori sia solo fine a sé stessa, frutto di un orientamento nichilista, o sia la base necessaria da cui far partire la creazione di un nuovo sistema di valori.
La filosofia di Nietzsche propone notevoli spunti di riflessione, che in parte spiegano la difficoltà di quest'autore di essere pienamente compreso nel suo tempo, nell'Ottocento, e la sua successiva riscoperta nel XX secolo. È il caso di ricordare che il Novecento vede l'arrivo alla ribalta di un esistenzialismo molto lontano da quello di Kierkegaard e che per molti aspetti Nietzsche è un anti-Kierkegaard in aperta concorrenza con la sua visione del mondo. Lo "scacco" kierkegaardiano per Nietzsche diventa il pretesto per una via a una vittoria sul destino di cui l'Oltreuomo si fa profeta.
Il pensiero di Nietzsche, se da un lato è la negazione di quelle correnti di pensiero basate sull'ottimismo metafisico e deterministico dell'idealismo hegeliano è anche contro l'ottimismo scientistico. Di esso era portatore il positivismo, con la sua idea di continuità del progresso. Incentrato il primo sul "tutto è bene" perché "così deve andare" necessariamente, l'ideale di progresso del secondo gli suona ingenuo e falso.
Sotto un altro punto di vista, per quanto Il mondo come volontà e rappresentazione sia uno dei testi chiave per la formazione di Nietzsche, egli ha poco della semplice considerazione pessimistica della realtà, propria di Schopenhauer. La sua filosofia, infatti, rifiuta ogni passiva accettazione della realtà, sia nel senso del "tutto è bene" hegeliano e sia quella del "tutto progredisce" positivistico e neppure il "tutto è sofferenza", di Schopenhauer. Essa, rivela piuttosto una sorta di titanismo romantico, ma in una nuova Weltanschauung (Visione del mondo) che è post-romantica.
Notevole importanza rivestì per Nietzsche il contatto con la cultura e l'ambiente italiani, che in più di un'occasione fecero da stimolo alle sue riflessioni filosofiche. Nietzsche amava soggiornare in Italia, dove si recava spesso per curare i suoi malanni e dove sosteneva di ritemprarsi. Egli definiva il carattere italico come «il più fine» per la sua capacità di sapersi esprimere argutamente e con paradossi, «il più ricco» per la creatività e la varietà delle scenografie urbane e «il più libero» dai condizionamenti metafisici e religiosi. In Italia Dio era già morto prima, e in maniera più definitiva, che altrove. Del genio italico diceva:
«[...] ha usato nel modo di gran lunga più libero e fine ciò che ha preso a prestito e ci ha messo dentro molto di più di quello che ne ha ricavato, essendo il genio più ricco, che più poteva donare.»
Nietzsche contrapponeva in particolare la cultura italiana a quella tedesca, ravvisando in quest'ultima un oscurantismo e un moralismo che, sorto con Martin Lutero e permeando di sé l'età moderna, aveva finito per prevalere su Roma.
«Cesare Borgia papa... Mi capite? Ebbene sì, questa sarebbe stata la vittoria, alla quale io anelo; con quella, il cristianesimo sarebbe stato eliminato! Che avvenne? Un frate tedesco, Lutero, venne a Roma. Questo frate, con nel sangue tutti gli istinti vendicativi di un prete fallito, a Roma tuonò contro il Rinascimento. [...] Invece di comprendere con la più profonda gratitudine il prodigio accaduto, il superamento del cristianesimo nella sua sede, da quello spettacolo il suo odio intese trarre il suo solo nutrimento. Lutero "vide" la corruzione del papato, mentre era palmare esattamente l'opposto: la vecchia corruzione, il peccato originale, il cristianesimo, non sedeva più sul seggio del papa! Bensì la vita! Bensì il grande sì a tutte le cose alte, belle, audaci! [...] E Lutero ripristinò la chiesa!»
Nietzsche riteneva perciò che la teologia protestante fosse peggiore di quella cattolica, ravvisando nella mentalità dei popoli meridionali, dalle radici essenzialmente elleniche, una maggiore attitudine all'ozio, un'apertura mentale agli aforismi e ai paradossi, nonché un'indulgenza verso le passioni e gli istinti. A Napoli sperimentò come la bellezza non «affascina tutta in un colpo, ma esercita una presa che si insinua lentamente»; Genova gli procurò «una felicità malinconica vivere in mezzo a questa confusione di stradicciole, di voci: un'ebbrezza di vita». Venezia lo indusse talmente a struggersi per la musica di Richard Wagner che «quando cerco un'altra parola per musica, trovo sempre soltanto la parola Venezia». A Roma si identificò nel gesto donante, triste e inappagato, della statua del Tritone. A Firenze constatò come il «grande stile» di Palazzo Pitti sarebbe rimasto ineguagliato dalle epoche successive della Controriforma, mentre di Torino tessé l'elogio della pianificazione urbana e del nuovo stile emergente di architettura.
Nietzsche conobbe anche, a Basilea, durante un viaggio nel 1871, Giuseppe Mazzini, il capo dei repubblicani italiani, che gli fece un'ottima impressione. Era nota pure la sua ammirazione per Niccolò Machiavelli e il suo Principe. È significativo che l'ultimo Nietzsche creativo, prima della malattia, lavorerà a Torino fino alla sua crisi, che lo coglierà proprio nella città piemontese nel gennaio 1889, quando venne riportato in Germania (a Torino è ancora visibile la targa che commemora la permanenza del filosofo in una casa del centro durante la scrittura di Ecce Homo).
«Stato si chiama il più freddo di tutti i mostri freddi (aller kalten Ungeheuer). È freddo pur nel mentire; e questa è la menzogna che esce dalla sua bocca: "Io, lo Stato, sono il popolo". [...] Là dove lo Stato cessa d'esistere, solo lì inizia l'uomo (da beginnt erst der Mensch) che non è inutile: là comincia la canzone della necessità, la melodia unica ed insostituibile (die einmalige und unersetzliche Weise). Là dove lo Stato cessa d'esistere – ma guardate un po' là, miei fratelli! Non vedete voi l'arcobaleno e i ponti dell'Oltreuomo?»
Benché sostanzialmente poco interessato alla politica, Nietzsche espresse anche opinioni riguardanti la gestione dello Stato e della società. Nietzsche difende spesso i valori pagano-aristocratici contro quelli cristiano-democratici, in quanto per lui i valori cristiani rispecchiano una visione falsa e nichilistica della vita che porta alla corruzione e al disgregamento della società. Quindi è stato avvicinato talvolta a un pensiero reazionario nostalgico. Tuttavia il fatto che egli detesti ogni organizzazione statale moderna, nonché il suo rifiuto dell'autorità, lo hanno fatto considerare un filosofo antipolitico. Nietzsche più che farsi politico denuncia tutti gli ideali politici del suo tempo. Egli è stato spesso associato anche al pensiero anarchico e individualista.
Sebbene il filosofo tedesco abbia criticato l'anarchismo, il suo pensiero si dimostrò influente per molti pensatori all'interno di quello che può essere definito come movimento anarchico. "C'erano molte cose che attiravano gli anarchici a Nietzsche: il suo odio per lo Stato, il suo disgusto per la condotta sociale irrazionale del "gregge", il suo anti-cristianesimo, la sua diffidenza nei confronti dell'effetto del mercato e dello Stato sulla produzione culturale, il suo desiderio superomista, ossia il desiderio di un nuovo essere umano che non doveva essere né padrone né schiavo e portatore di nuovi valori. Ciò potrebbe essere il risultato dell'associazione, in questo periodo, tra le idee del filosofo e quelle di Max Stirner. L'associazione tra Nietzsche e l'anarchia dura tuttora, in alcuni ambienti filosofici, ad esempio in Michel Onfray.
Molto discusso, come detto, è l'uso fatto degli scritti di Nietzsche da parte del fascismo e del nazismo, basandosi sulle interpolazioni e le opere curate dalla sorella, nazista e antisemita convinta. Nietzsche fu l'unico vero filosofo che Benito Mussolini studiò in maniera approfondita, restando da lui (oltre che da Stirner) fortemente ammaliato in gioventù. Dalla sua dottrina del superuomo egli trasse il senso da dare alla "rivoluzione fascista" che si sarebbe accinto a compiere di lì a poco. Adolf Hitler invece visitava spesso il museo di Weimar dedicato a Nietzsche, e si faceva ritrarre fotograficamente mentre ostentava la contemplazione del busto del filosofo e, nel 1943, regalò a Mussolini un'edizione completa di lusso dell'opera omnia di Nietzsche.
Nel periodo fra le due guerre mondiali, alcuni nazisti impiegarono intensivamente vari espedienti per promuovere la propria ideologia, e segnatamente Alfred Baeumler nella sua interpretazione de La volontà di potenza.
La vasta popolarità di Nietzsche tra i nazisti scaturì in parte dai deliberati sforzi di Elisabeth Förster-Nietzsche, sorella del filosofo che ne curò le pubblicazioni dopo il suo tracollo psichico, divenendo peraltro a un certo punto un'aperta simpatizzante del partito nazionalsocialista (tanto che, quando nel 1935 morì, il Führer partecipò ai suoi funerali).
Per di più, Mazzino Montinari, nel corso della pubblicazione di opere postume di Nietzsche durante gli anni sessanta, scoprì che Elisabeth, "creando" — per così dire — La volontà di potenza mediante l'attività di revisione redazionale di frammenti postumi, ne aveva tagliato degli estratti, cambiato l'ordine, aggiunto titoli di sua invenzione, inserito passaggi di altri autori copiati da Nietzsche come se fossero stati scritti da Nietzsche stesso, e così via.
In definitiva si può dire che il vero pensiero di Nietzsche consideri lo Stato come un idolo sostitutivo del vecchio Dio (per questo non formula una sua proposta politica per i contemporanei, come fece Karl Marx), quindi da uccidere anch'esso, perché sorga infine l'oltreuomo. A causa dell'associazione tra il nazismo e Nietzsche (derivante anche da alcuni passi de L'anticristo in cui esalta il forte sul debole), le sue opere saranno di fatto proibite in Germania Est sotto il regime comunista (1949-1990) e la tomba del filosofo abbandonata e dimenticata, fino al successivo restauro.
Nietzsche contestò il concetto filosofico di libero arbitrio e la funzione rieducativa della pena, considerando la morte del criminale come l'unico atto che restituisce dignità al suo gesto (come il suicidio nella morale greco-romana), assolvendolo dalla colpa e liberandolo dall'umiliazione del pentimento, imposto dalla morale cristiana:
«Es giebt keine Erlösung für den, der so an sich selber leidet, es sei denn der schnelle Tod.»
«Per colui che soffre talmente di sé stesso, non vi è redenzione, se non la rapida morte.»
Ne la Genealogia della morale (1887), Nietzsche sostenne che il valore della pena non debba essere quello di destare il senso di colpa né di rieducare il criminale, ma soltanto quello di punire in chiave extramorale «un cagionatore di danni, un irresponsabile frammento di fatalità». Separando nettamente il diritto dalla morale, e ribaltando la prospettiva di Cesare Beccaria in chiave diametralmente opposta, Nietzsche considerò positivamente la situazione in cui il criminale si senta moralmente sollevato dal proprio gesto allorché si trovi «nell'impossibilità di avvertire come riprovevole la sua azione, la specie del suo atto in sé: vede infatti esercitata al servizio della giustizia esattamente la stessa specie di atti e quindi approvata, esercitata con tranquilla coscienza».
Pur non prendendo esplicitamente posizione a favore della pena di morte, il pensiero di Nietzsche risulta fortemente avverso a quegli stessi principi filosofici che, in occidente, portarono alla progressiva abolizione della pena capitale e all'idea dei diritti umani. Il suo pensiero è considerato tuttora di grande attualità da parte di coloro che non riconoscono il fondamento filosofico di tali diritti.
Al momento però di esprimere un giudizio sull'applicazione pratica della pena capitale nel mondo a lui contemporaneo, egli sembra schierarsi contro, attaccando quello che non è indice di energia spirituale dell'oltreuomo, ma un freddo rituale dello stato borghese, che egli giudica più colpevole dell'assassino stesso:
«Come è che ogni esecuzione ci offende più di un omicidio? È la freddezza dei giudici, sono i meticolosi preparativi, è il sapere che qui un uomo viene usato come mezzo per spaventarne altri. Giacché la colpa non viene punita, se anche ce ne fosse una: questa è negli educatori, nei genitori, nell'ambiente, in noi, non nell'omicida, intendo le circostanze determinanti.»
Per Hegel c'è la Storia, per Nietzsche la genealogia. Nel pensiero di Nietzsche, nonostante il suo confronto con Hegel sia raramente esplicitato nelle opere, prevale una radicale contestazione dell'hegelismo: i più rilevanti punti di distanza fra i due filosofi tedeschi possono essere individuati nel diverso atteggiamento nei confronti della dialettica, oggetto di una critica aggressiva da parte di Nietzsche, essendo vista da lui come una pretesa del pensiero di ridurre la caoticità della vita e del mondo entro categorie fisse e stabili, e in particolar modo in una visione sistematica della filosofia, che era invece un tratto centrale dell'opera di Hegel.
Nella sua seconda considerazione inattuale Nietzsche fa esplicito riferimento alla filosofia hegeliana come la maggior causa di una diffusa idolatria del fatto nella cultura tedesca. Per Nietzsche, infatti, il tentativo di categorizzare e insieme divinizzare il processo storico annienta la forza vitale propria di ogni uomo e veicola una concezione della storia epigonale e giustificatrice. La filosofia di Hegel è ritenuta da Nietzsche un tradimento in danno alla vita, in quanto tentativo di fermare ciò che non si può fermare (la vita, dinamica per antonomasia) in un sistema di pensiero.
Analogo è il suo giudizio nei confronti dei positivisti: rei di spiegare la realtà mediante leggi meccanicistiche fisse, essi restano afflitti dallo stesso errore di Hegel ed epigoni. Nietzsche è distante dal pensiero di Hegel anche in ordine alla supposizione hegeliana che esista una forza meramente razionale manifestantesi nella storia, che tratterebbe gli uomini come banali strumenti della propria astuzia.
Nietzsche ripudia la "tirannide della ragione sugli uomini" (per usare le sue parole), per cui biasima Socrate, Platone, Cartesio, gli illuministi e anche i positivisti del suo tempo. Questo atteggiamento di profonda messa in discussione del filone razionalistico-idealistico confluito in Hegel e Immanuel Kant (idealismo che per Nietzsche comprende anche il cristianesimo) della filosofia occidentale comporta allo stesso tempo una ridiscussione totale della tradizione metafisica, di cui Hegel si ritiene invece l'ultimo elaboratore.
Sussistono nondimeno talune analogie con alcuni aspetti dell'illuminismo. Malgrado il suo netto orientamento antirazionalista, è possibile accostare il pensiero di Nietzsche ad alcuni autori illuministi - nonché osservare un profondo retroterra di tipo razionalista, o meglio razionale, in alcune delle sue convinzioni e dei suoi ragionamenti - per quanto riguarda il rifiuto generale della metafisica e dell'ascesi; è tra l'altro significativo che egli abbia dedicato la sua opera Umano, troppo umano a Voltaire. L'ideale ascetico è visto in particolare da Nietzsche come una minaccia alla forza vitale insita nell'uomo. Più che di rifiuto del razionalismo, vi è quindi un rifiuto dell'idealismo.
Nietzsche può essere accomunato a Søren Kierkegaard: entrambi hanno un orientamento prettamente esistenziale ed entrambi sono considerati precursori dell'esistenzialismo novecentesco. Nietzsche però non condivide il cinismo della vita che porta inevitabilmente alla disperazione, e impedisce all'uomo di accettare con gioia l'esistenza, oltre a non condividere le credenze cristiane di Kierkegaard.
Sulle basi ut supra è incentrata la polemica contro la religione in generale e il cristianesimo in particolare: anche queste istanze rinnegano la forza vitale innata in ciascuno. La condanna colpisce anche Arthur Schopenhauer, seppur ammirato in gioventù da Nietzsche. Quest'ultimo imputa al suo vecchio maestro di aver generato l'ennesima morale, fondata sulla pietà e, in ultima analisi, sull'ascesi.
Nietzsche, a ogni modo, è influenzato da alcuni concetti di Schopenhauer: ammette l'idea di una forza irrazionale, respingendone la nozione sinistra che ne aveva prospettato Schopenhauer e la rinomina volontà di potenza, annoverandola quale forza benevola, esemplificata essenzialmente dal suo famoso oltreuomo. Il forte interesse giovanile verso Schopenhauer, portò Nietzsche a leggere i discepoli di quest'ultimo, e cioè Eduard von Hartmann, Julius Bahnsen e Philipp Mainländer.
Egli, tuttavia, non pensava che, questi autori, fossero autentici prosecutori del messaggio schopenhaueriano. Parla difatti di Mainländer, dopo aver affermato in uno scritto giovanile "È ora di riscoprirlo!", ne La gaia scienza (Die fröhliche Wissenschaft), nel seguente modo: "Sarebbe possibile considerare Mainländer, dilettante e precocemente senile, turiferario sentimentale e apostolo della verginità, come un vero e proprio tedesco?!... Né Bahnsen, né Mainländer e né, in particolare, Eduard von Hartmann, danno una sicurezza in materia di gestire la questione se il pessimismo di Schopenhauer, il suo orrore di guardare a un Dio privato, stupido, cieco, folle, e a un discutibile Mondo, insomma il suo onesto sguardo d'orrore, non sia stato soltanto un caso eccezionale tra i tedeschi, ma possa essere, bensì, considerato come un tema generalmente tedesco" (§ 357).
Tuttavia, occorre notare che Nietzsche stesso mutuò proprio da Mainländer, la celebre espressione "Dio è morto" (sebbene con intenti diversi, significando la morte di Dio per Nietzsche un surplus di vitalismo immanente): la morte progressiva di Dio - dalla "superessenza unitaria" all'"essenza fenomenica nel molteplice", presente nel mondo attuale, sino alla "dissoluzione nullificante" - è, difatti, il cuore della filosofia stessa di Mainländer. Particolare importanza ebbe poi per Nietzsche la scoperta di Stendhal e di Dostoevskij (quest'ultimo definito, nel Crepuscolo degli idoli, «l'unico psicologo da cui avrei qualcosa da imparare»). In una lettera indirizzata a Franz Overbeck (febbraio 1887) scrive:
«Di Dostoèvskij qualche settimana fa non sapevo nemmeno il nome, io, uomo incolto che non legge i giornali. Il caso, in una libreria, mi fece posare lo sguardo su un libro suo, tradotto da poco in francese: L'esprit souterrain (la stessa cosa fortuita mi accadde a vent'anni per Schopenhauer, a trentacinque per Stendhal). L'istinto di parentela (o come diavolo dovrei chiamarlo?) parlò; la mia gioia fu straordinaria; devo risalire alla mia conoscenza con Rouge et Noir per ricordarmi una gioia altrettanto viva.»
L'ultimo Nietzsche, prima della malattia, si appassionò peraltro al Tolstòj della "conversione" (lo stesso Tolstòj che lo definì «un vivace tedesco posseduto da manie di grandezza, con idee limitate, folle»). Nietzsche lo «leggeva e compulsava avidamente, riconoscendo in lui lo stesso mito al quale anch'egli si sentiva forzato: la consumazione del confine tra "arte" e "vita", tra "volontà" e "realtà"». Altre influenze di Nietzsche furono i citati Ralph Waldo Emerson, Voltaire, Stirner. Nietzsche lesse e stimò anche la poesia e la filosofia pessimista e nichilista di Giacomo Leopardi, che, come lui, vedeva, almeno in parte, nelle illusioni dell'arte e dei miti il mezzo per sottrarsi a una vita di dolore e al grigio presente.
Nietzsche, che pure ben può dirsi avversario del positivismo, è in parziale sintonia con il darwinismo e più in particolare con le categorie di «lotta per la vita», «selezione naturale» e «survival of the fittest». Egli però dilata questo assunto al di là della mera sopravvivenza: secondo Nietzsche c'è un «darwinismo» selettivo anche nella società umana: gli individui mirano a conseguire il predominio e la supremazia, sotto lo stimolo della «volontà di potenza». Darwin sarà d'altronde aspramente criticato da Nietzsche per il suo ottimismo progressista. Inoltre, Nietzsche critica Darwin per la preponderanza da lui data all'ambiente esterno quale causa dell'evoluzione e alla sopravvivenza quale fondamentale istinto vitale;– la «filosofia da mercante del signor Spencer: assoluta mancanza di un ideale, al di fuori di quello dell'uomo medio». Altra sua critica a Darwin fu quella sui concetti di «individuo» e «specie» come erano creduti: «I concetti di "individuo" e di "specie" sono egualmente falsi e dovuti alla prima impressione. "Specie" esprime solo il fatto che una quantità di esseri simili si presentano nello stesso tempo e che il ritmo di crescita ulteriore e di mutamento è per molto tempo rallentato, sicché le piccole continuazioni e gli accrescimenti di fatto non vengono molto in considerazione (una fase di sviluppo, in cui lo svilupparsi non diventa visibile, sicché sembra che si sia raggiunto un equilibrio, e viene resa possibile la falsa rappresentazione che si sia qui conseguito uno scopo – e che ci sia stato uno scopo nello sviluppo..)».
Nella sua critica all'idealismo e a Kant, alle presunte "fantasie metafisiche", all'"immoralità" della morale e alla retorica filosofica accademica, Nietzsche può essere considerato il più autorevole precursore dell'etologia, dell'epistemologia evoluzionista, nonché della psicoanalisi, e la sua opera contribuì a renderla in seguito possibile: Nietzsche ha prodotto influssi di assoluto rilievo in svariati ambienti e su numerose personalità della letteratura e della politica del XX secolo. È inevitabile, a tal proposito, riferirsi a Stefan George, così come in Italia a Gabriele D'Annunzio, che nel suo lavoro mostrò di aver manifestamente recepito il mito dell'oltreuomo, con la conseguente esaltazione, ai limiti del titanismo, di orgoglio e volontà. Nietzsche venne talora considerato tra i precursori del nazionalsocialismo, anche se l'interpretazione del suo pensiero fornita dal filosofo nazista Alfred Baeumler è tuttora dibattuta e considerata controversa.
Evidenti influenze del pensiero di Nietzsche sono altresì riscontrabili nell'originale metafisica concreta di Pavel Aleksandrovič Florenskij; nella psicoanalisi di Sigmund Freud e in quella di Carl Gustav Jung (psicologia analitica); nella filosofia "eraclitea" di Alfred Baeumler, così come più in generale nella cosiddetta Konservative Revolution della sfera culturale tedesca tra le due guerre, attraverso tra gli altri Oswald Spengler, Ernst Jünger, Thomas Mann e lo stesso Martin Heidegger; o ancora nel futurismo italiano, nell'individualismo moderno, nell'oggettivismo della romanziera russo-americana Ayn Rand, e più recentemente nel transumanesimo e nel postmodernismo critico.
Tra gli autori contemporanei che apertamente rivendicano la propria filiazione nietzscheana troviamo tra gli altri Guillaume Faye, Alain de Benoist (fondatore della Nouvelle Droite) e l'anarco-edonista Michel Onfray. Va rammentata, del resto, la notoria affinità spirituale che legava il pittore Giorgio de Chirico al pensatore che qui si commenta. Nietzsche influenzò anche lo scrittore rumeno Emil Cioran che prese da lui il suo pessimismo e nichilismo, radicalizzando.
Critiche del pensiero di Nietzsche arriveranno dalla corrente esistenzialista del Novecento, in particolare da Martin Heidegger per il quale centro della riflessione filosofica è un nuovo corso metafisico sul senso dell'essere. In particolare Heidegger criticherà i concetti di volontà di potenza e oltreuomo come perdita di valori fondamentali da parte dell'individuo; nonostante ciò Heidegger riprenderà da Nietzsche alcune idee, come l'analisi del nichilismo.
Forti critiche a Nietzsche saranno pronunciate dalle correnti spiritualiste, idealiste e religiose, ad esempio dal cattolico Gilbert Keith Chesterton, il quale sosterrà anche la non novità delle idee nicciane in dure prese di posizione:
«Non riesco a pensare che uno sprezzo cosmopolita del patriottismo sia semplicemente questione di opinioni, così come non credo che uno sprezzo nietzscheano per la compassione sia semplicemente una questione di opinioni. Penso che entrambe siano eresie tanto orribili che il loro trattamento non dev'essere tanto mentale quanto morale, sempre che non sia solo un caso clinico. Gli uomini non sono sempre morti per una malattia, né sono sempre condannati da una delusione; ma finché ne sono a contatto, ne sono distrutti.»
«Come tutti sanno, Nietzsche predicò una dottrina, che egli stesso ed i suoi seguaci mostrano di considerare molto rivoluzionaria; egli sostenne che la comune morale altruistica era stata inventata da una classe di schiavi per impedire il sorgere dì tipi superiori capaci di combatterli e di soggiogarli. Orbene, i moderni, sia favorevoli che contrari, vi alludono sempre come se fosse un'idea nuova e del tutto inaudita. Si suppone con la massima calma ed insistenza che i grandi scrittori del passato, come per esempio Shakespeare, non lo sostennero perché non vi avevano mai pensato, perché l'idea non era passata loro per la mente. Ma rileggete l'ultimo atto del Riccardo Terzo di Shakespeare, e vi troverete, espresso in due versi, non solo tutto ciò che Nietzsche aveva da dire, ma con le sue stesse parole. Riccardo il Gobbo dice ai suoi nobili: "La coscienza non è che una parola usata dai codardi, al principio creata per mantenere i forti in soggezione". Come ho detto, il fatto è chiaro. Shakespeare aveva pensato a Nietzsche ed alla morale del Super-Uomo, ma ne valutò l'esatta portata, e la collocò esattamente al suo posto: cioè nella bocca di un gobbo mezzo dissennato, che parla alla vigilia della sua disfatta. Questa collera contro i deboli è possibile soltanto in un uomo che sia morbosamente coraggioso, ma fondamentalmente malato; un uomo come Riccardo, un uomo come Nietzsche.»
Condotta sull'edizione critica dei testi originali stabilita da Giorgio Colli e Mazzino Montinari:
I seguenti volumi sono pubblicati nella collana di Adelphi, Milano, con copertina gialla (tra parentesi il n. della collana):
Nietzsche radicalizza il concetto di destino di filosofie fataliste come lo stoicismo e teorizza l'assenza del libero arbitrio.