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Gian Francesco Malipiero

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Gian Francesco Malipiero (Venezia, 18 marzo 1882 – Treviso, 1º agosto 1973) è stato un compositore italiano.
Figlio di Luigi e di Emma Balbi, proveniva da una famiglia di musicisti: il padre era pianista e direttore d'orchestra, a sua volta figlio di Francesco, operista apprezzato da Gioachino Rossini. Dopo la separazione dei genitori, nel 1893, seguì il padre a Trieste, Berlino e Vienna; nel conservatorio di quest'ultima città, nel 1898, studiò armonia, ma non venne ammesso ai corsi di violino che studiava privatamente da otto anni. Tornato dalla madre a Venezia, tra il 1899 e il 1902 frequentò le lezioni di composizione al liceo musicale "Marcello" sotto la guida di Marco Enrico Bossi; quando questi passò al liceo musicale "Martini" di Bologna, proseguì gli studi da autodidatta.
Nel 1908 si reca alla Hochschule di Berlino per seguire alcuni corsi, mentre a Parigi entra in contatto con gli ambienti culturali, incontrando Casella, Ravel e D'Annunzio.
Dal 1921 al 1924 insegna al conservatorio di Parma. I suoi interessi per la musica antica italiana culminano nell'edizione completa delle opere di Claudio Monteverdi (16 voll. Asolo 1926-1942). Si ritira quindi per la prima volta ad Asolo per dedicarsi esclusivamente alla composizione.
Nel 1932 è insegnante nel Liceo musicale di Venezia (poi Conservatorio Statale), che dirigerà dal 1939 al 1952. Svolge anche attività didattica dal 1936 all'Università di Padova, città dove dirige l'Istituto Musicale Pollini.
Nel 1939 avviene la prima rappresentazione nel Teatro dell'Opera di Roma della sua commedia musicale in 1 atto "Il finto Arlecchino", su libretto del compositore, diretta da Tullio Serafin, con Tito Gobbi; nel 1941 la prima assoluta della tragedia lirica in 3 atti Ecuba, su libretto del compositore, diretta da Serafin, con Maria Carbone, Benvenuto Franci, Gobbi, Giuseppe Taddei ed Italo Tajo, per la regia di Corrado Pavolini, a Roma.
Nel 1952 si ritira nuovamente ad Asolo per dedicarsi alla composizione. Cessa definitivamente di comporre nel 1971.
La morte sopraggiunge il 1º agosto del 1973 in un ospedale di Treviso.
Opere principali della sua prima fase creativa sono: Sinfonia degli eroi (1905), Sinfonia del mare (1906), Sinfonie del silenzio e della morte (1908) e l'opera Canossa (composta nel 1911, rappresentata a Roma nel 1914).
Le Impressioni dal vero per orchestra (I-III 1910, IV-VI 1915, VII-IX 1922) mostrano un orientamento verso un'espressione più libera, analoga a quella che egli conobbe nelle opere di Debussy e Ravel, durante un suo lungo soggiorno a Parigi.
Malipiero è stato anche un ottimo prosatore, fine polemista, critico musicale, autore di raffinate memorie.
La sua produzione abbraccia i più diversi generi musicali, dalle sinfonie (undici numerate, oltre ad altre sei), ai concerti (sei per pianoforte, due per violino, uno per violoncello, uno per flauto, uno per trio con pianoforte), alla musica da camera, nella quale emergono gli stupendi otto quartetti per archi, che sono da annoverare tra le più insigni pagine del Novecento che siano state scritte per tale formazione, assieme a quelli di Béla Bartók e Dmitrij Šostakovič. Nel fittissimo corpus dell'opera di Malipiero spiccano anche gli otto Dialoghi, composti tra il 1955 e il 1957, destinati alle più differenti formazioni, dal semplice duo all'orchestra sinfonica con strumento solista.
Nella sua immensa produzione teatrale spiccano L'Orfeide (1925), che comprende le Sette Canzoni (1920 al Palais Garnier di Parigi come Sept chansons), il Torneo notturno (1931), I Capricci di Callot (1942), Le metamorfosi di Bonaventura (1966). Fu inoltre autore prolifico di musica corale e vocale da camera e di molti pezzi da camera per complessi diversi. In un catalogo così ampio, non mancano pagine di secondaria importanza.
Malipiero curò inoltre la pubblicazione dell'opera omnia di Claudio Monteverdi e contribuì alla valorizzazione dell'opera di Antonio Vivaldi, del quale, dal 1947, diresse l'edizione dell'opera omnia strumentale. Diede alle stampe libri sull'orchestra, sul teatro musicale, su Stravinskij e memorie.
Il linguaggio musicale di Malipiero è caratterizzato da un'estrema libertà formale; egli, infatti, ripudiò sempre la disciplina accademica della variazione a favore dell'espressione più anarchica e fantastica del canto, oltre a evitare fortemente il rischio di cadere nel descrittivismo della musica a programma. Fino alla metà degli anni cinquanta Malipiero rimase legato a una scrittura diatonica e ampia, rifacentesi allo strumentalismo italiano pre-ottocentesco e alla melopea gregoriana, per spostarsi progressivamente verso territori espressivamente più inquieti e tesi, che lo avvicinarono al totale cromatico, senza però che avvenisse in lui la conversione verso la pratica dodecafonica (i suddetti Dialoghi sono una testimonianza di tale sperimentazione). Più che abbandonare del tutto il proprio stile precedente, l'autore fu capace di reinventarlo in maniera personalissima e con grande spirito di aggiornamento. Non è difficile intravedere, in alcune pagine tarde, suggestioni provenienti dagli allievi Luigi Nono o Bruno Maderna.
Nonostante il suo isolamento artistico, Malipiero ebbe contatti con i massimi compositori del '900, come Igor' Fëdorovič Stravinskij, Ernest Bloch, Charles Ives, Luigi Dallapiccola (che lo riconobbe come maggior genio musicale dopo la morte di Giuseppe Verdi), Hindemith, Sessions, Luciano Berio e, pur senza dar vita a una vera e propria scuola, ha lasciato un segno profondissimo e inconfondibile nella cultura musicale italiana. Fu zio del compositore Riccardo Malipiero.
Nel 1968, l'Accademia dei Lincei gli ha conferito il Premio Feltrinelli per la Musica.