Compositori

Cartesio

Tutto Composizioni

Per principianti

per popolarità
Musicae compendium (Musicae compendio)
Wikipedia
«Ego cogito, ergo sum, sive existo.»
«Io penso, dunque sono, ossia esisto.»
Renato Cartesio, in francese René Descartes ([ʀəne dekaʀt]) e in latino Renatus Cartesius (La Haye en Touraine [oggi Descartes], 31 marzo 1596 – Stoccolma, 11 febbraio 1650), è stato un filosofo e matematico francese, ritenuto fondatore della matematica e della filosofia moderna.
Cartesio estese la concezione razionalistica di una conoscenza ispirata alla precisione e certezza delle scienze matematiche a ogni aspetto del sapere, dando vita a quello che oggi è conosciuto con il nome di razionalismo continentale, una posizione filosofica dominante in Europa tra il XVII e il XVIII secolo.
Cartesio, secondo il suo biografo Adrien Baillet, nacque il 31 marzo del 1596 a La Haye en Touraine, in una casa «delle più nobili, delle più antiche e delle più in vista della Turenna»; in realtà il titolo di Cavaliere fu concesso alla famiglia Descartes soltanto il 20 gennaio 1668.
Il suo biografo Pierre Borel, credeva invece che fosse nato nella casa che i Descartes possedevano a Châtellerault, nel Poitou: entrambe le case esistono ancora e del Poitou erano originari gli avi del filosofo, che non erano però nobili.
Il nonno Pierre Descartes era un medico e il figlio Joachim (1563-1640), che esercitò l'avvocatura a Parigi, nel 1585 acquistò la carica di consigliere del Parlamento di Bretagna, dove si trovava quando la moglie Jeanne Brochard (1570-1597) partorì René, terzo figlio dopo le nascite di Jeanne (1590-1640) e di Pierre (1591-1660).
René fu battezzato il 3 aprile nella chiesa di Saint-Georges, prendendo il nome dal padrino, lo zio materno e giudice a Poitiers, René Brochard des Fontaines.
Il bambino fu subito affidato a una balia, che si prese a lungo cura di lui, gli sopravvisse e percepì dal filosofo, che prima di morire aveva chiesto ai fratelli di sostenerla, un vitalizio.
La madre morì il 13 maggio 1597, l'anno dopo la sua nascita, dando alla luce un figlio che le sopravvisse solo tre giorni.
Il vedovo Joachim Descartes si risposò intorno al 1600 con Anne Morin, una bretone conosciuta a Rennes, dalla quale ebbe due figli, Joachim (1602-1680) e Anne.
Orfano di madre e con il padre spesso assente, a prendersi cura di René furono soprattutto la nonna materna e la nutrice. Trascorse l'infanzia con i due fratelli a La Haye, ove un precettore privato gli impartì l'istruzione elementare: il costante pallore e una frequente tosse secca, che facevano pensare ai medici che non sarebbe vissuto a lungo, ritardarono l'inizio dei suoi studi regolari.
Solo nella ricorrenza della Pasqua del 1607 entrò nel collegio di La Flèche - fondato da Enrico IV nel 1603 e assegnato ai gesuiti - che già godeva di alta rinomanza e dove il fratello Pierre aveva iniziato gli studi nel 1604. Nello stesso collegio studiò il teologo e scienziato Marin Mersenne, che Cartesio conoscerà probabilmente solo nel 1622 o 1623, di cui fu amico per tutta la vita e che si occupò dei suoi affari in Francia quando Cartesio risiedette in Olanda. Gli studenti, provenienti da ogni parte della Francia senza distinzione di classe sociale, erano tenuti al solo pagamento della pensione e i corsi prevedevano tre anni di studio della grammatica, tre anni di studi umanistici e tre anni di filosofia. Coloro che avessero voluto intraprendere la carriera ecclesiastica vi avrebbero continuato a studiare per altri cinque anni la teologia e le Scritture.
Scarso era l'insegnamento della matematica, impartito per meno di un'ora al giorno ai soli studenti del secondo anno di filosofia. S'insegnava esclusivamente la filosofia aristotelica in un corso triennale ripartito nell'apprendimento della logica, basato sui manuali di Francisco Toledo e di Pedro da Fonseca, della fisica e della metafisica, quest'ultima insieme con nozioni di filosofia morale.
«Le lezioni di filosofia duravano ogni giorno due ore il mattino e due ore la sera. Alla fine della lezione il professore si metteva a disposizione dei suoi allievi per chiarire i punti rimasti in ombra. La Logica e la Metafisica erano insegnate in latino; la Fisica e la Matematica, a partite dalla seconda metà del XVII secolo, in francese.»
Cartesio si mostrerà poi deluso dell'insegnamento ricevuto: «Sono stato allevato nello studio delle lettere fin dalla fanciullezza, e poiché mi si faceva credere che con esse si poteva conseguire una conoscenza chiara e sicura di tutto ciò che è utile nella vita, avevo un estremo desiderio di apprendere. Ma non appena ebbi concluso questo intero corso di studi, al termine del quale si è di solito annoverati tra i dotti, cambiai completamente opinione: mi trovavo infatti in un tale groviglio di dubbi e di errori da avere l'impressione di non aver ricavato alcun profitto, mentre cercavo di istruirmi, se non scoprire sempre più la mia ignoranza».
Sono le considerazioni del Cartesio maturo che scrive il suo Metodo e lamenta che nelle scuole non si promuova lo spirito critico degli allievi; una tale volontà di ricerca personale era già presente nel giovane René: «Da giovane, quando mi si presentava qualche scoperta ingegnosa, mi domandavo se io stesso non fossi in grado di trovarla da solo, anche senza apprenderla dai libri».
Tuttavia l'anno successivo, in una lettera ad un amico che gli chiedeva consigli in merito all'educazione del figlio, il giudizio di Descartes sugli studi condotti a La Haye sarà molto più positivo:
«Ora, anche se la mia opinione è che non tutte le cose che si insegnano in filosofia siano vere come il Vangelo, tuttavia, poiché essa è la chiave di tutte le altre scienze, credo che sia utile averne studiato l’intero corso, come si insegna nelle Scuole dei Gesuiti, prima di cominciare ad elevare il proprio spirito al di sopra della pedanteria, per diventare istruito come si deve. Devo rendere questo onore ai miei maestri e dire che non vi è luogo al mondo ove ritengo la si insegni meglio che a La Flèche.»
Uscì dal collegio gesuita nel settembre del 1615, conservando un affetto riconoscente nei confronti del rettore, padre Étienne Charlet, che gli fece «le veci del padre per tutto il periodo della gioventù», e per il regime di vita osservato nella scuola, durante il quale la sua salute si ristabilì completamente. Si stabilì a pensione presso un sarto di Poitiers per studiare giurisprudenza nella Università di quella città, dove il fratello Pierre si era laureato tre anni prima: il 9 novembre 1616 ottenne il baccalaureato e il giorno dopo la laurea in utroque iure. Si riunì alla famiglia che, dopo il secondo matrimonio del padre, viveva a Rennes - dove anche la sorella Jeanne, sposata nel 1613 con Pierre Rogier, signore di Crévis, si era stabilita - o a Sucé, presso Nantes, dove la matrigna Anne Morin possedeva una casa.
Raggiunta la maggiore età, con una salute recuperata e il desiderio di conoscere cose nuove, ai primi del 1618 Cartesio si arruolò volontario in uno dei due reggimenti francesi di stanza a Breda, nei Paesi Bassi, sotto il comando del principe d'Orange. È un periodo di tregua della guerra che oppone la Francia alla Spagna: Cartesio aveva un valletto al suo servizio, ma l'ignoranza e la volgarità dei compagni, e l'ozio forzato a cui era spesso costretto non gli fecero amare l'ambiente militare. Tuttavia quel soggiorno si rivelerà importante sotto un altro aspetto: il 10 novembre conobbe casualmente il medico Isaac Beeckman, venuto da Middelburg a Breda per trovare lo zio e una ragazza da sposare ed entrambi si trovarono a cercare di risolvere un problema matematico. Il trentenne Beeckmam esercitò naturalmente una forte attrazione intellettuale su René e ne nacque un'amicizia che, pur contrastata negli anni, orienterà gli interessi di Cartesio verso le scienze matematiche.
Beeckman aveva l'abitudine di annotare osservazioni e problemi scientifici in un diario giunto fino a noi: in un problema posto da Beeckman a Cartesio – conoscendo lo spazio percorso da un grave in due ore, determinare lo spazio percorso dal medesimo in un'ora – la risposta di Cartesio è che la velocità del grave aumenta all'aumento dello spazio percorso, anziché al tempo trascorso.
Cartesio concluse il 31 dicembre 1618 un breve trattato sulla musica intitolato Compendium musicae che offrì a Beeckman come regalo per il nuovo anno: ne ricevette in cambio un'agenda, che terrà sempre con sé. Due note tracciate da Beeckam sul manoscritto del Compendium indicano che l'operetta fu il risultato di scambi di idee tra i due amici se non influenzata dalle opinioni del Beeckman: «I miei pensieri gli sono piaciuti», scrive Beeckmam, ripartendo il 2 gennaio 1619 per Middelburg, e «ciò conferma non poco quanto ho scritto sui modi». Nel Compendium Cartesio si dice convinto che le diverse passioni suscitate dalla musica abbiano una giustificazione nella variazione delle misure dei suoni e nei rapporti tonali: se alla base dell'effetto emotivo prodotto dalla musica sull'ascoltatore sono meri rapporti quantitativi, egli riconosce che occorrerebbe una più precisa analisi della natura dell'anima umana e dei suoi movimenti per comprendere compiutamente le emozioni indotte dalla musica.
I due amici rimasero in contatto epistolare: il 26 marzo 1619 Cartesio informò Beeckman di aver inventato dei compassi grazie ai quali aveva potuto formulare nuove dimostrazioni sui problemi relativi alla divisione degli angoli in parti uguali e alle equazioni cubiche, ripromettendosi di sviluppare queste scoperte in un trattato ove egli avrebbe esposto «una scienza del tutto nuova, con la quale si possano risolvere in generale tutte le questioni proponibili in qualsiasi specie di quantità, sia continua sia discreta». È la prima testimonianza dell'intuizione della geometria analitica: «nell'oscuro caos di questa scienza ho intravisto uno spiraglio di luce».
A questo proposito, sebbene egli non ne sia stato l'inventore, Cartesio è conosciuto anche per la diffusione del cosiddetto Diagramma cartesiano il cui uso risale a epoche antiche.
Il 29 aprile 1619, Descartes s'imbarcò da Amsterdam per Copenaghen: contava di visitare la Danimarca, poi la Polonia e l'Ungheria per raggiungere di qui la Boemia, ma rinunciò al lungo viaggio per dirigersi alla fine di luglio a Francoforte, dove il 27 agosto assistette all'incoronazione di Ferdinando II e s'intrattenne nella città brandeburghese per tutta la durata dei festeggiamenti. Con la ripresa di quella che verrà definita la Guerra dei Trent'anni, sembra che Cartesio si sia arruolato nell'esercito comandato da Massimiliano di Baviera e abbia passato l'inverno a Neuburg, nel nord della Baviera, in una confortevole e ben riscaldata casa sulla riva del Danubio: qui, prese un giorno «la decisione di studiare anche in sé stesso e d'impiegare tutte le forze del suo spirito a scegliere le strade che doveva seguire».
Lo studio di noi stessi ci rende consapevoli di quante nozioni abbiamo accumulato nella mente sin dall'infanzia, senza che esse siano state sottoposte a un preventivo vaglio critico: perciò, «è quasi impossibile che i nostri giudizi siano così genuini e così solidi come sarebbero stati se sin dalla nascita avessimo avuto l'uso completo della ragione e se fossimo stati sempre guidati solo dalla ragione». Occorre una revisione delle opinioni acquisite e la loro sostituzione, se necessario, con quelle legittimate da un criterio di verità.
Per intanto, egli non avrebbe accolto nessuna cosa per vera se non si fosse presentata alla mente «con tale chiarezza e distinzione da non avere alcun motivo di dubitarne». Poi, ogni problema doveva essere diviso in quante più parti possibili per meglio risolverlo e, «cominciando dagli oggetti più semplici e più facili da conoscere, salire a poco a poco, per gradi, fino alla conoscenza dei più complessi». Infine, fare «enumerazioni così complete e rassegne così generali da esser sicuro di non aver omesso nulla».
Quelle sono parole scritte circa quindici anni dopo nel Discorso sul metodo, ma in quel novembre del 1619 Cartesio, nel registro regalatogli dal Beeckman, in una sezione che egli stesso intitolò Olympica, scrisse che il 10 novembre, «pieno di entusiasmo», stava scoprendo i «fondamenti di una scienza mirabile» e narra di sogni e di visioni che resero agitata la notte, ma non sappiamo con precisione a quale scienza qui alludesse Cartesio. L'ambasciatore francese in Svezia, Pierre Chanut, che conobbe molto bene Cartesio, dettando il suo epitaffio si riferì a questo episodio: «nel riposo dell'inverno, avvicinandosi ai misteri della natura con le leggi matematiche, osò sperare di aprire i segreti dell'una e dell'altra con la stessa chiave».
Probabilmente, proseguendo le sue ricerche sulle corrispondenze dell'algebra con la geometria, aveva raggiunto la convinzione che il sapere potesse essere unificato in un'unica scienza della quale le singole discipline formavano una branca particolare, come scriverà nelle Regulae ad directionem ingenii: «Tutte le scienze non sono altro che l'umana sapienza che permane sempre unica e identica per quanto differenti siano gli oggetti cui si applica [...] Tutte le scienze sono così connesse tra loro che è molto più facile apprenderle insieme piuttosto che separarne una sola dalle altre». Durante quell'inverno conobbe nella vicina Ulm il matematico Johann Faulhaber, del quale potrebbe esserci qualche influenza nelle ricerche intraprese da Cartesio che portarono alla redazione dei Progymnasmata de solidorum elementis, dove tratta delle proprietà dei poliedri.
Lasciò Neuburg ai primi di marzo del 1620 e «in tutti i nove anni seguenti non fece altro che vagare qua e là per il mondo, cercando di essere spettatore piuttosto che attore in tutte le commedie che vi si rappresentavano», di acquisire conoscenze certe, scartando le dubbie, secondo i precetti del suo metodo, che egli applicava «in particolare a problemi di matematica o anche in altri che poteva assimilare ai problemi matematici, scindendoli da tutti i principi delle altre scienze che non trovava abbastanza solidi».
Lasciato l'esercito, nel 1622 tornava presso la famiglia a Rennes e si trasferiva nei primi mesi del 1623 a Parigi, ospite di un amico del padre, Nicolas Le Vasseur, che gli presentò il matematico Didier Dounot: in questo lasso di tempo potrebbe aver conosciuto anche Claude Mydorge. In autunno partiva per un lungo viaggio in Italia: la morte del signor Sain, marito della sua madrina e commissario generale al vettovagliamento per le truppe francesi stanziate in Italia, aveva lasciato libera una carica lucrosa che Cartesio avrebbe cercato - ma invano - di farsi assegnare.
Secondo i biografi Cartesio, che aveva letto in collegio un testo allora famoso, Le pèlerin de Lorète del gesuita Louis Richeome, sarebbe andato a Loreto per visitare la leggendaria Casa di Nazareth lì trasportata dagli angeli, poi a Roma, a Firenze, dove non incontrò Galileo, e a Venezia. Rientrò in Francia attraverso il passo del Moncenisio ed ebbe occasione di assistere alla caduta di valanghe, un fenomeno che tratterà nel libro sulle Météores. Giunse a Parigi nel maggio del 1625. Nel complesso non ricavò una buona impressione della penisola e dei suoi abitanti: «la calura del giorno è insopportabile, il fresco della sera malsano e l'oscurità della notte copre furti e omicidi».
Da questo momento Cartesio adottò uno stile di vita che osserverà per sempre: avendo rinunciato alla carriera militare e a occupare qualsiasi magistratura, vivrà dei proventi dei suoi possedimenti terrieri, che gli assicuravano una condizione libera dal bisogno e gli permettevano di dedicarsi ai suoi studi. Si mantenne in corrispondenza con Beeckman ed entrò in relazione con i matematici Jean Baptiste Morin e Florimond De Beaune, con il Mydorge e con i letterati Jean de Silhon, Jacques de Sérisay, Guez de Balzac e col padre Mersenne, già autore di un trattato sull'ottica, la cui sollecitazione può averlo indotto a studiarne i problemi, giungendo a determinare la legge della costanza del rapporto dei seni degli angoli di incidenza e di rifrazione. successivamente ma indipendentemente da Willebrord Snell.
Nel novembre del 1627 fu invitato nella casa del nunzio pontificio Gianfrancesco Guidi di Bagno ad una riunione di scienziati e filosofi. Lì, presenti anche il cardinale Bérulle e il Mersenne, si trovò a confutare le teorie filosofiche di un certo Chandoux attraverso l'esposizione del suo «metodo naturale» fondato sulle Regulae ad directionem ingenii che Cartesio stava elaborando.
Per lavorarci con maggiore tranquillità, partì per la Bretagna e poi si trasferì in una sua proprietà nel Poitou: le Regulae sono costituite da 21 proposizioni, 18 delle quali, le prime, commentate; il testo è stato lasciato incompiuto; Cartesio darà lo sviluppo organico del tema del metodo della conoscenza nel successivo Discours de la méthode.
L'intenzione è quella di orientare gli studi in modo che «la mente giunga a giudizi solidi e veri su tutto ciò che le si presenta». Il metodo è «la via che la mente umana deve seguire per raggiungere la verità»: esso consiste nell'ordinare e disporre gli oggetti sui quali s'indirizza la mente per giungere alla verità. Le proposizioni involute e oscure devono essere ridotte a proposizioni più semplici e poi, partendo dall'intuizione di queste ultime, progredire alla conoscenza di quelle più complesse. Le proposizioni semplici, comprese intuitivamente e senza ricorrere a dimostrazioni per la loro evidenza, sono equivalenti ai postulati e agli assiomi matematici e costituiscono i principi della conoscenza.
Fu di nuovo a Parigi nell'aprile del 1628: in questo periodo sembra che abbia scritto un trattatello sulla scherma, andato perduto: L'art de l'escrime. In ottobre andò a Dordrecht, nei Paesi Bassi, a trovare l'amico Beeckman: in questa occasione deve aver maturato la decisione di trasferirsi nei Paesi Bassi. Dopo un ritorno a Parigi nell'inverno del 1628, nel marzo del 1629 ripartì per l'Olanda: si stabilì a Franeker, ove il 26 aprile si iscrisse all'Università per frequentare i corsi di filosofia. Probabilmente scelse quell'università perché vi insegnava il matematico Adrien Metius, fratello di quel Jacques Metius che a giudizio di Cartesio aveva inventato il cannocchiale.
Continuò a lavorare sui problemi dell'ottica e in agosto fu messo a conoscenza dall'amico professore di filosofia Henricus Reneri dell'osservazione del fenomeno ottico-astronomico dei pareli, effettuata il 20 marzo a Frascati dall'astronomo gesuita Christoph Scheiner. Quel fenomeno era già noto e Pierre Gassendi ne diede il 14 luglio una descrizione che verrà ripresa da Cartesio nelle Méteores: sono circoli bianchi che «invece di avere al loro centro un astro, attraversano ordinariamente il centro del Sole o della Luna e risultano paralleli o quasi all'orizzonte».
Nel 1629 compone un petit traité de métaphysique (opera perduta) i cui punti principali sono di provare l'esistenza di Dio e l'immortalità delle nostre anime quando sono separate dai corpi.
Dal 1630 cominciò a lavorare al Le Monde ou traité de la lumière che avrebbe dovuto rappresentare l'esposizione della propria filosofia naturale, ma la notizia della condanna, nel 1633, del Galilei e della messa all'Indice del Dialogo sopra i due massimi sistemi lo dissuasero dal completare e pubblicare l'opera che in più parti sposava le tesi di Copernico condannate dalla Chiesa. Dopo un'edizione parziale postuma in traduzione latina nel 1662 a Leida, il trattato fu pubblicato nella versione originale francese a Parigi nel 1664 in due parti separate, con il titolo, rispettivamente, di Le Monde ou le traité de la lumière et des autres principaux objects des sens e di L'Homme; finalmente, nel 1667, l'opera fu pubblicata integralmente a Parigi insieme con il frammento La formation du foetus.
Nelle Regulae Cartesio aveva individuato nella «matematica universale» la «scienza dell'ordine», ossia quella scienza che, stabilendo la disposizione nella quale tutte le varie conoscenze vanno disposte, essendo tra di loro legate da comuni principi, è la scienza alla quale tutte le altre fanno capo. Dopo la matematica, ne Il Mondo Cartesio affronta il problema della fisica, individuando il principio al quale tutti i fenomeni fisici obbediscono. Tale principio è la conoscenza «chiara e distinta» degli elementi semplici che costituiscono i corpi. I corpi sono materia dotata di movimento che occupa uno spazio determinato e gli elementi primi della materia sono la terra, l'aria e il fuoco.
La materia è dunque esprimibile quantitativamente con «il movimento, la grandezza, la figura e la disposizione delle parti», e solo da questi deve derivare la spiegazione delle sue qualità. Le leggi della natura obbediscono a tre principi: «ogni parte della materia conserva sempre lo stesso stato finché le altre non la costringono a cambiarlo», che è il principio d'inerzia; «quando un corpo spinge un altro corpo, non gli trasmette né sottrae movimento senza perderne o acquistarne una quantità eguale», e «quando un corpo è in movimento, ciascuna delle sue parti, presa separatamente, tende sempre a continuare il proprio movimento in linea retta».
Nel 1635 diventò padre con la nascita della figlia Francine (1635-1640) battezzata il 7 agosto dello stesso anno, avuta da una domestica di nome Helena Jans Van der Strom che aveva avuto come amante per alcuni anni senza mai sposarla neppure dopo questa nascita. Cartesio però riconobbe Francine, che morì a soli 5 anni, come sua figlia.
Nel 1637 pubblicò in un volume il Discorso sul metodo come prefazione ai saggi su Diottrica, Geometria e Meteore. Nel 1641 diede alle stampe la prima edizione, in latino, delle Meditazioni metafisiche corredate dalle prime sei Obiezioni e risposte. L'anno successivo (1642) con la seconda edizione delle Meditazioni pubblicò le settime Obiezioni e risposte; l'opera fu tradotta in francese nel 1647 dal Duca di Luynes.
Nel 1643 la filosofia cartesiana venne condannata dall'Università di Utrecht, contemporaneamente Cartesio cominciò una lunga corrispondenza con la principessa Elisabetta di Boemia. Nel 1644 compose i Principia philosophiae e compì un viaggio in Francia. Nel 1647 la corona di Francia gli riconobbe una pensione. L'anno successivo da una lunga conversazione con Frans Burman nacque il testo Entretien avec Burman (Conversazione con Burman), pubblicato per la prima volta nel 1896.
Nel 1649 si trasferì a Stoccolma accettando l'invito della regina Cristina di Svezia, sua discepola, desiderosa di approfondire i contenuti della sua filosofia. Quell'anno dedicò alla principessa Elisabetta il trattato Le passioni dell'anima. L'inverno svedese e gli orari ai quali Cristina lo costringeva a uscire di casa per impartirle le lezioni - alle cinque del mattino , quando il freddo era più pungente - ne minarono il fisico. Secondo il racconto tradizionale e l'ipotesi più accreditata, Cartesio morì l'11 febbraio 1650 per una sopraggiunta polmonite. La condanna della Chiesa cattolica nei confronti del pensiero cartesiano non tardò a venire, con la messa all'Indice nel 1663 delle sue opere (poste nell'Index con la clausola attenuante suspendendos esse, donec corrigantur).
Dopo la morte il corpo di Cartesio venne tumulato in un piccolo cimitero cattolico a nord di Stoccolma dove rimase fino al 1666 quando i resti vennero riesumati per essere portati a Parigi e inumati nella chiesa di Sainte Geneviève-du-Mont dove rimase sino al 26 febbraio 1819 quando la salma fu nuovamente trasferita e inumata tra altre due lapidi tombali, quelle di Jean Mabillon e di Bernard de Montfaucon, nella chiesa di Saint-Germain-des-Prés: «alla presenza dei rappresentanti dell'Accademia delle scienze, la salma fu ancora riesumata. Aprendo la bara, i presenti si resero conto che qualcosa non andava, in quanto allo scheletro del filosofo mancava misteriosamente il cranio.»
Si scoprì che gli svedesi ne avevano asportato la testa, che ricomparve a Stoccolma a un'asta, ove il cranio fu acquistato e donato alla Francia. Sul teschio, privo della mandibola e della parte inferiore, compaiono le firme dei suoi proprietari dalla fine del Seicento al momento della vendita. Secondo l'uso del tempo gli intellettuali tenevano sulla scrivania un teschio, meglio se di un illustre personaggio, a memento della morte comune e inevitabile. Il teschio, attribuito a Cartesio sia per l'età sia per le ricostruzioni fatte in base ai ritratti del filosofo, continuò a rimanere separato dal resto del corpo ed esposto al Musée de l'Homme.
Nel 1801 in suo onore la città natale fu ribattezzata La Haye-Descartes e nel 1966, dopo la sua fusione con il comune di Balesmes, Descartes. Inoltre in paese esiste ancora la casa natale, che nel 1974 è stata trasformata in museo e successivamente nel 2005 è stata ampliata con un suggestivo percorso, pensato per far rivivere ai visitatori l'atmosfera dell'epoca oltre che conoscere la vita e il pensiero dello scienziato.
Il filosofo tedesco Theodor Ebert (1939-), dell'Università di Erlangen, nell'opera La misteriosa morte di René Descartes è giunto alla conclusione che Cartesio morì non per una polmonite, ma per un avvelenamento da arsenico. Ebert ha scoperto una nota del medico di Cartesio dove si descrivono le condizioni del filosofo, consistenti in «perdurante singhiozzo, espettorazione di colore nero, respirazione irregolare» sintomi riportabili ad avvelenamento da arsenico. Nella stessa opera si racconta di come Cartesio, forse sospettando un avvelenamento, poco prima di morire chiedesse un infuso di vino e tabacco, bevanda che serviva a vomitare.
Nel 1996 la tesi dell'avvelenamento era stata avanzata anche da autori come Eike Pies che l'attribuiva all'iniziativa di un monaco cappellano presso l'ambasciata francese a Stoccolma incaricato di operare come "missionario del nord" per convertire la regina svedese al cattolicesimo.
Nel 1980 Pies ebbe modo di leggere nell'archivio dell'università di Leiden, Paesi Bassi, una lettera del medico della regina Cristina, che descriveva a un amico dottore i sintomi del moribondo Cartesio, consistenti in «emorragia allo stomaco, vomito nero, tutte cose che non hanno niente a che fare con la polmonite».
Gli studi ritenuti attendibili da esperti della materia come Rolf Puster, ritengono che Cartesio sia stato avvelenato con un'ostia della comunione intrisa d'arsenico dal padre agostiniano, François Viogué, frate francese inviato dal Papa Innocenzo X a Stoccolma come missionario apostolico per convertire al cattolicesimo la regina Cristina di Svezia, come poi avvenne nel 1654. La ipotesi di assassinio ad opera del fanatico padre Viogué si baserebbe sul fatto che questi vedeva nell'insegnamento cartesiano un ideale razionalista che avrebbe portato la regina Cristina ad un cattolicesimo diverso da quello professato dal padre agostiniano. Tale affermazione, però, sembra in parte contrastare con quanto affermato dalla regina di Svezia, la quale, in una testimonianza inserita nell'introduzione all'edizione postuma parigina delle Méditations métaphysiques, elogia il filosofo scrivendo che « [M. Des-Cartes] a beaucoup contribué a nostre glorieuse conversion; et que la providence de Dieu s'est servie de luy [...] pour nous en donner les premières lumières; ensorte que sa grâce et sa misericorde acheverent apres à nous faire embrasser les veritez de la Religion Catholique Apostolique et Romaine ».
La maggior parte degli studiosi si mostra assai scettica riguardo all'ipotesi di avvelenamento, considerando ben più attendibile quella tradizionale fornita dal biografo Baillet, tanto da ritenere che « non sono assolutamente da seguirsi le voci secondo le quali il filosofo sarebbe morto per avvelenamento, vittima di una congiura di corte: non sembrano verosimili e nessuno ha mai avanzato prove plausibili ».
Per di più gli amici che nelle ultime ore assistettero Cartesio osservarono un sintomo non riconducibile all'avvelenamento da arsenico: la febbre alta. La stessa alterazione febbrile Cartesio aveva avuto modo di riscontrare nell'ambasciatore Nopeleen e nell'amico Chanut appena guarito da una febbre alta. A rendere poco convincente l'avvelenamento sarebbe stato il fatto che lo stesso presunto avvelenatore, Vioguè, confessò e confortò Cartesio sul letto di morte amministrandogli l'estrema unzione.
La finalità della filosofia di Cartesio è la ricerca della verità attraverso la filosofia, intesa come uno strumento di miglioramento della vita dell'uomo: perseguendo questa via il filosofo intende ricostruire l'edificio del sapere, fondare la scienza.
Cartesio ritiene che criterio basilare della verità sia l'evidenza, ciò che appare semplicemente e indiscutibilmente certo, mediante l'intuito. Il problema nasce nell'individuazione dell'evidenza, che si traduce nella ricerca di ciò che non può essere soggetto al dubbio. Pertanto, dacché la realtà tangibile può essere ingannevole in quanto soggetta alla percezione sensibile (dubbio metodico) e al contempo anche la matematica e la geometria (discipline che esulano dal mondo sensibile) si rivelano fasulle nel momento in cui si ammette la possibilità che un'entità superiore (colui che Cartesio soprannomina genio maligno) faccia apparire come reale ciò che non lo è (dubbio iperbolico), l'unica certezza che resta all'uomo è che, per lo meno, dubitando, l'uomo è sicuro di esistere. L'uomo riscopre la sua esistenza nell'esercizio del dubbio. Cogito ergo sum: dal momento che è propria dell'uomo la facoltà di dubitare, l'uomo esiste.
Partendo dalla certezza di sé, Cartesio arriva, formulando due prove ontologiche e una prova cosmologica, alla certezza dell'esistenza di Dio. Dio, che nella concezione cartesiana è bene e pertanto non può ingannare la sua creazione (l'uomo), si rende garante del metodo, permettendo al filosofo di procedere alla creazione dell'edificio del sapere. Le maggiori critiche ricevute da Cartesio furono apportate da Pascal (che gli rimprovera di sfruttare Dio per dare un tocco al mondo) e da alcuni suoi avversatori contemporanei (tra cui il filosofo inglese Hobbes e il teologo Antoine Arnauld), che lo accusarono di essere caduto in una trappola solipsistica (assimilabile a un circolo vizioso): Cartesio teorizza Dio per garantirsi quei criteri di verità che gli sono serviti a dimostrare l'esistenza di Dio.
«Volendo seriamente ricercare la verità delle cose, non si deve scegliere una scienza particolare, infatti esse sono tutte connesse tra loro e dipendenti l'una dall'altra. Si deve piuttosto pensare soltanto ad aumentare il lume naturale della ragione, non per risolvere questa o quella difficoltà di scuola, ma perché in ogni circostanza della vita l'intelletto indichi alla volontà ciò che si debba scegliere; e ben presto ci si meraviglierà di aver fatto progressi di gran lunga maggiori di coloro che si interessano alle cose particolari e di aver ottenuto non soltanto le stesse cose da altri desiderate, ma anche più profonde di quanto essi stessi possano attendersi»
«Dubium sapientiae initium»
«Il dubbio è l'origine della saggezza»
Che cosa possiamo sperare di conoscere con certezza? Proprio quando sembra impossibile individuare qualcosa che possa essere conosciuto con evidente certezza, Cartesio si rende conto che qualunque cosa possa fare quel genio maligno di cui ha ipotizzato l'esistenza nel corso della messa in discussione di ogni certezza, questi non potrà mai far sì che io, che dubito di essere ingannato da lui, non esista: la sua azione dell'ingannare si rivolge ad un esistente che subisce l'inganno e che dubita di essere ingannato e, se dubita, pensa. Questo è il principio (meglio conosciuto nella formula del cogito ergo sum, "penso, quindi sono", che compare nel Discorso sul metodo) su cui ricostruire l'edificio della conoscenza.
Dal momento che dobbiamo rifiutare l'insegnamento dei sensi che ci rappresentano come dotati di un corpo, Descartes conclude di essere una sostanza pensante.
La contrapposizione fra res cogitans e res extensa avrà notevoli risvolti antropologici.
Il pensiero costituisce la sua essenza nella misura in cui esso è ciò di cui non può più dubitare. La costruzione del sapere avviene attraverso il metodo della deduzione mentre i sensi sono privati di ogni dignità conoscitiva.
Il grande contributo di Cartesio alla filosofia moderna è dato dall'aver posto nel rapporto tra soggetto e oggetto l'Idea: non si conoscono direttamente le cose, ma le nostre idee sulle cose. Pertanto il soggetto non può conoscere direttamente l'oggetto; l'esistenza delle cose e il loro modo di apparirci diventano un problema gnoseologico che Cartesio pone ma solo Kant risolverà in modo convincente.
«Si giunge così alla filosofia moderna in senso stretto, che inizia con Cartesius. Qui possiamo dire d'essere a casa e, come il marinaio dopo un lungo errare, possiamo infine gridare “Terra!”. Cartesius segna un nuovo inizio in tutti i campi. Il pensare, il filosofare, il pensiero e la cultura moderna della ragione cominciano con lui.»
Ritenuto il primo pensatore moderno che ha fornito un quadro filosofico di riferimento per la scienza moderna all'inizio del suo sviluppo, Cartesio ha cercato di individuare i principi fondamentali che possono essere conosciuti con assoluta certezza. Per farlo si è servito di un metodo chiamato scetticismo metodologico: rifiutare come falsa ogni idea che può essere revocata in dubbio.
La conoscenza sensibile è la prima a essere messa in mora: è bene diffidare di chi ci ha già ingannato, potrà farlo ancora. Addirittura nel sonno capita di rappresentarsi cose che non esistono come se fossero vere. Perciò non bisogna credere nei sensi.
La conoscenza matematica solo apparentemente può sfuggire al metodo del dubbio metodico messo in atto da Cartesio. Infatti, benché sembri che non ci possa essere nulla di più sicuro e di più certo, non si può neppure escludere che un "genio maligno", supremamente malvagio e potente, si diverta a ingannarci ogni volta che effettuiamo un calcolo matematico.
Cartesio, per la sua personale esperienza della verità, ritiene che i pensieri di cui possiamo essere certi sono evidenze primarie alla ragione. Evidente è l'idea chiara e distinta, che si manifesta all'intuito nella sua elementare semplicità e certezza, senza bisogno di dimostrazione. Ne sono esempi i teoremi di geometria euclidea, che sono dedotti in base alla loro stessa evidenza, ma nello stesso tempo verificabili singolarmente in modo analitico, mediante vari passaggi.
Il ragionamento non serve a dimostrare le idee evidenti, ma semplicemente a impararle e memorizzarle; i collegamenti hanno la funzione di aiutare la nostra memoria. Kant rileverà che questo non solo è un metodo opportuno, ma che è l'unico possibile, che le coscienze si formano intorno a un "io penso" che può apprendere soltanto conoscenze che derivino da un unico principio.
Cartesio afferma anche che ognuno ha il suo metodo e che il suo è uno dei metodi possibili. L'importante è darsi un metodo cui sottoporre tutte le verità e da seguire come regola per tutta la vita; il metodo cartesiano finisce con l'essere un imperativo categorico il cui contenuto metodico varia a seconda delle circostanze, ma anche della persona (cosa che l'imperativo categorico non ammette). Il metodo cartesiano quindi non è altro che un criterio di orientamento unico e semplice che all'interno di ogni campo teoretico e pratico aiuti l'uomo, e che abbia come ultimo fine il vantaggio dell'uomo nel mondo.
Qual è il rapporto che l'io in quanto pensiero e il corpo in quanto estensione intrattengono tra di loro?
Cartesio anzitutto esclude che il pensiero sia nel corpo «come un nocchiero nella barca»; questa era l'immagine platonica per illustrare il rapporto anima-corpo, che lasciava intatte e separate le due sostanze.
A tale possibilità Cartesio obietta che le sensazioni che abbiamo, fame, sete, dolore..ecc., ci segnalano un rapporto diretto col corpo, laddove non si realizzasse un'unità, l'intelletto non proverebbe quei pensieri di sensazione, ma essi gli riuscirebbero in qualche modo estranei.
C'è un ulteriore elemento che ci dà la misura dell'unione intrinseca dell'intelletto col corpo, e cioè che i corpi esterni a noi intrattengono con noi rapporti che non sono percepiti come inerenti esclusivamente alla nostra corporeità, ma come benefici o dannosi a tutti noi stessi.
Anima e corpo sono dunque «mescolati», come attestano le sensazioni sia interne sia esterne; ma non al punto che non sia possibile distinguere alcune operazioni «che sono di pertinenza della sola anima» e altre «che appartengono al solo corpo».
All'anima compete la conoscenza della verità, al corpo le sensazioni «che ci sono date dalla natura propriamente solo per indicare all'anima quali cose siano di beneficio, quali di danno, a quel composto di cui essa è una parte, e ciò finché non sono ben chiare e distinte».
Il corpo dà dunque all'anima le indicazioni necessarie perché essa operi per la sopravvivenza del composto, ma tali indicazioni sono oscure e confuse, e la luce intellettuale deve, per conoscere la verità su di esse, provvedere a chiarirle.
Questa spiegazione puramente funzionale delle sensazioni urta però con due obiezioni che Cartesio si pone immediatamente.
Il corpo però a volte ha sensazioni nocive per il composto, in ciò venendo meno alla sua funzione, ad esempio «quando qualcuno, ingannato dal sapore gradevole di un cibo, ingerisce il veleno che vi è nascosto».
Questa obiezione è facilmente superabile, in quanto al più in questo caso si può accusare la sensazione di ignorare che in quel cibo c'è del veleno, ma ben sappiamo che l'uomo è «una cosa limitata», e un caso del genere si spiega considerando che la sensazione ha una capacità informativa limitata.
Più insidiosa è l'altra obiezione, che osserva che ci sono sensazioni che direttamente operano a danno del composto; ad esempio «quando coloro che sono ammalati desiderano una bevanda o del cibo, che poco dopo sarà loro nocivo» come l'idropico che prova una sensazione di sete, soddisfacendo la quale sicuramente si danneggerà.
Per rispondere all'obiezione Cartesio tenta dapprima la strada della spiegazione meccanicistica del corpo, cui addossare la responsabilità dell'errore. Istituisce il paragone tra corpo e orologio e osserva che se si considera il corpo come una macchina di pure parti materiali, si può pensare alla malattia come a una rottura della macchina; ma anche con questo modello non si è risposto all'obiezione, ammette Cartesio, perché le leggi di natura regolano anche un orologio che funziona male, mentre nel caso dell'idropico vengono meno. Se la malattia è da paragonarsi a un guasto dell'orologio che ne produce il malfunzionamento, resta da spiegare come mai vi si aggiunga un'attività direttamente contraria alla sopravvivenza del composto, e cioè il desiderio di bere.
Potremmo aggiungere, è come se l'orologio, oltre a funzionare male, si mettesse a danneggiare i suoi ingranaggi o attivasse un pulsante di autodistruzione. In tale caso di autodanneggiamento la sensazione di sete dell'idropico è «un vero errore di natura», in quanto opera in contrasto con la sopravvivenza del composto, al cui fine le sensazioni sono istituite.
Il cogito come capacità di autocoscienza appartiene solo agli uomini dotati di un corpo che funziona come una macchina: « [...] incomparabilmente meglio ordinata e ha in sé movimenti più meravigliosi di qualsiasi altra tra quelle che gli uomini possono inventare [...] » ; gli animali invece privi di coscienza sono semplici macchine. Solo l'uomo ragiona e parla mentre gli animali anche quando parlano in modo simile al nostro interloquire, come ad esempio i pappagalli, non fanno che ripetere dei suoni che sentono, non elaborano razionalmente dei discorsi. L'incapacità di parlare degli animali non dipende dal fatto che essi non abbiano gli organi appositi per farlo, come ad esempio le corde vocali, ma dalla loro incapacità di ragionare. Tanto è vero che anche uomini privi degli strumenti per parlare sono superiori agli animali parlanti perché con la loro ragione inventano segni che permettono loro di comunicare coscientemente, pur essendo muti e sordi.
Gli animali quindi sono privi di ragione e di coscienza e non provano dolore; anche quando sembrano manifestare sofferenza, in realtà reagiscono meccanicamente a una stimolazione materiale come quando toccando una molla dell'orologio le sue lancette si muovono.
Teoria questa confutata e criticata da altri successivi filosofi (come Voltaire e Auguste Comte, ammiratore di Cartesio per il resto), che la reputarono giustificatrice di abusi e crudeltà verso gli animali.
Se io sono sostanza pensante, il mio pensiero deve essere caratterizzato da un contenuto, ovvero deve configurarsi come idea («Prendo il nome di idea per tutto ciò che è concepito immediatamente dallo spirito»
Cartesio distingue tre tipologie di idee:
«Ex nihilo nihil fit.»
«Nulla viene dal nulla.»
Con la sola forza del pensiero deduttivo Descartes propone una "prova ontologica" dell'esistenza di un Dio benevolo che ha dato all'uomo una mente e un corpo e che non può desiderare di ingannarlo. Le tre prove ontologiche, liberamente ispirate dalla Scolastica, di cui il filosofo si serve per postulare l'esistenza di Dio sono:
In questo modo, si può recuperare il rapporto con il mondo sensibile senza timore di essere ingannato. Riprendendo i tre anni di studi filosofici, Cartesio recupera l'idea della scolastica medioevale di un Dio-Bene che non può ingannare né me né i miei sensi, per cui è reale il mondo che abbiamo davanti. L'errore viene pertanto attribuito non alla dimensione intellettuale dell'uomo, ma alla volontà, che asseconda nel procedimento un principio non ancora chiarito.
Cartesio s'interessò anche del linguaggio. Ai suoi tempi si discuteva della possibilità dell'esistenza precostituita di una lingua che egli non ritiene possa sussistere "a priori" ma che invece possa essere costruita seguendo queste linee guida:
In una lettera a padre Mersenne (20 novembre 1629) egli scriveva:
«Ritengo che questa lingua sia possibile, e che si possa trovare la scienza da cui farla derivare, così che per mezzo di questa dei contadini potrebbero giudicare della verità delle cose meglio di quanto non facciano oggi i filosofi.»
Cartesio pensava infine che si potesse tentare di stabilire i nomi primitivi delle azioni confrontando i verbi delle più diverse lingue e di dedurne le parole tramite degli affissi.
Questa sua idea fu poi ripresa da Leibniz, altro teorico di un linguaggio razionale, che abbinato a un calculus ratiocinator, avrebbe consentito la risoluzione meccanica di ogni problema.
Leibniz ebbe modo di interessarsi di Cartesio quando dopo la morte del filosofo cercò di visionare le carte riservate, facenti parte del patrimonio degli scritti cartesiani. Le carte spedite da Stoccolma erano giunte a Rouen ma il battello che da lì le avrebbe dovute trasportare lungo la Senna a Parigi affondò nei pressi del Louvre . La cassa contenente gli scritti fu recuperata dal destinatario Claude Clerselier (1614-1684) che, dopo la morte di Marin Mersenne, dal 1648 era stato a Parigi il contatto principale di Descartes divenendone amico, seguace ed editore di numerose sue opere e che, sempre a difesa del pensiero del suo maestro, aveva tenuto una vasta corrispondenza con gli intellettuali europei.
Nel giugno del 1676 Leibniz recatosi presso Clerselier a Parigi poté vedere i manoscritti cartesiani riuscendo, dopo molte insistenze, a copiare sinteticamente solo una parte del testo cifrato di un taccuino, intitolato De solidorum elementis, che lo aveva incuriosito..
Gli appunti di Leibniz, all'incirca una pagina e mezza, dopo la sua morte si mescolarono alle altre carte delle sue opere conservate ad Hannover che furono catalogate e ordinate, quasi due secoli dopo nel 1860, da Louis-Alexandre Foucher de Careil, uno studioso di Leibniz.
L'Accademia delle scienze francese nel 1890 pubblicò gli appunti di Leibniz, con un commento di Ernest de Jonqières, che non riuscì a chiarirne il testo. Nel 1912 Charles Adam e Paul Tannery che operavano presso la Bibliothèque nationale de France vi scoprirono una copia dell'inventario degli scritti cartesiani stilato a Stoccolma da Pierre Chanut il 14 e 15 febbraio 1650. I due studiosi poterono così raccogliere una miriade di informazioni sugli appunti cartesiani che furono ancora una volta studiati nel 1966 da un gruppo di ricercatori che tuttavia non riuscirono a chiarirne il testo fino a quando nel 1987 un sacerdote e matematico francese esperto di crittografia, Pierre Costabel, scoprì che Leibniz era riuscito a svelare la formula generale dei poliedri semplici, scoperta e descritta da Cartesio nel suo taccuino, ma resa pubblica da Eulero soltanto nel 1730.
Che il segreto custodito dal taccuino di Cartesio non fosse soltanto la formula dei poliedri è la tesi avanzata da Amir Aczel, matematico e divulgatore scientifico del Bentley College di Boston, nell'opera Descartes' Secret Notebook (2005) .
Dell'intero taccuino, costituito da 16 pagine rilegate accuratamente in pergamena, illustrato da disegni e con simboli alchimistici e cabalistici Leibniz, per una restrizione imposta dallo stesso Clerselier , riuscì a prenderne brevi appunti solo relativamente ad alcune pagine che egli stesso poi non divulgò: il resto delle pagine, dopo la morte di Claude Clerselier e dell'abate Jean-Baptiste Legrand (1704), collaboratore di Baillet, scomparve così come sparirono le carte che Legrand aveva preparato per pubblicare un'edizione di tutte le opere di Cartesio .
La decisione di Cartesio di ritirarsi a vivere in Olanda, dove soggiornò per vent'anni (salvo brevi viaggi a Parigi nel 1644, nel 1647 e nel 1648) e che lasciò non per tornare in Francia ma per andare in Svezia era dovuta, come egli stesso scrisse nel Discorso sul metodo, alla liberalità delle leggi sulla stampa che vigevano in quello Stato pacifico e prospero. Tuttavia sembra che Cartesio fosse stato in realtà costretto a lasciare la patria per le accuse che sin dal 1623 e poi dal 1629 lo indicavano come un Rosacroce.
Il problema di un possibile rapporto tra Cartesio e i Rosacroce fu sollevato per primo dal biografo Adrien Baillet il quale, citando passi di un perduto Studium bonae mentis, sostiene che Cartesio pensò che i rosacrociani potessero aver scoperto proprio quella nuova scienza che egli aveva intuito e che andava abbozzando.
Si può escludere che egli si sia mai affiliato a quella setta e non si sa se abbia mai conosciuto un rosacrociano , ma in qualche modo Cartesio dovette venire a conoscenza delle loro opinioni visto che, nella sezione del suo registro intitolata Cogitations privatae compare il progetto di un Thesaurus mathematicus di 'Polybii Cosmopolitani' (uno pseudonimo di Cartesio che allude a Polibio di Megalopoli ) dove scrive:
«Quest’opera contiene i veri mezzi per superare tutte le difficoltà di questa scienza e dimostrare come, riguardo ad essa, lo spirito umano non possa spingersi più lontano; scritta per provocare l’esitazione o schernire la temerarietà di quanti promettono nuove meraviglie in tutte le scienze, e allo stesso tempo per alleviare le gravi fatiche dei Fratelli della Rosacroce i quali, lanciati notte e giorno nelle difficoltà di questa scienza, vi consumano inutilmente l’olio del loro genio; dedicata infine ai sapienti del mondo intero e specialmente agli Illustrissimi F. (Fratelli) R. (Rosa) C. (Croce) di Germania.»
La segretezza che Cartesio volle dare ad alcuni suoi scritti era quindi dovuta al timore di un intervento della Inquisizione ai suoi danni non solo per le sue opere a carattere scientifico ma anche per la sua supposta aderenza ai RosaCroce.
Il girovagare continuo che il filosofo fece in terra olandese soggiornando per brevi periodi in case private, in alberghi, in piccoli villaggi e il rimanere in contatto con i dotti europei solo tramite padre Marin Mersenne, l'unico che conoscesse il suo indirizzo, sembra dimostrare la volontà di sfuggire a un nemico tanto pericoloso che quando Cartesio venne a sapere nel 1633 della condanna di Galilei non si ritenne al sicuro neppure in Olanda rinunciando a pubblicare un suo trattato di fisica, Il mondo ovvero trattato della luce e l'uomo , basato sulla teoria eliocentrica copernicana e sulle scoperte di Keplero.
Leibniz per un breve periodo (probabilmente dicembre 1666 - marzo 1667) divenne segretario di una società alchemica di Norimberga .
A questo periodo risale il suo progetto di superare le divisioni tra gli uomini mediante la ragione e il progresso scientifico, elaborando un linguaggio universale simbolico, la characteristica universalis, che offrisse all'umanità lo strumento per annullare ogni contrasto anche teologico. Questo progetto di una scienza unica era rientrato anche nelle aspirazioni di Cartesio convinto com'era della possibilità di creare una mathesis universalis poiché alla matematica appartengono
«...solamente tutte quelle cose nelle quali si fa oggetto di esame l'ordine come pure la natura, (...) e quindi deve esserci una scienza generale, che spieghi tutto quello che si può desiderare circa l'ordine e la misura non riferita ad una materia specifica, ed essa sia chiamata Mathesis universale, non con un vocabolo straniero, ma con uno ormai radicato e accettato nell'uso, poiché in essa è contenuto tutto ciò per cui le altre scienze sono dette parti della matematica.»
Era forse proprio questo che Leibniz cercava tra le carte di Cartesio: se questi, cioè, avesse tenuto nascosto qualche principio fondamentale, riguardante un mistero della setta dei Rosacroce, destinato a rimanere segreto, per la costruzione di questo linguaggio simbolico universale che, tramite le leggi del calcolo matematico, potesse offrire la certa soluzione di qualsiasi complesso e dirompente problema poiché
«infatti tutti problemi che dipendono dal ragionamento verrebbero affrontati tramite la trasposizione di caratteri e una sorta di calcolo...E se qualcuno mettesse in dubbio i miei risultati, gli direi: "Calcoliamo, signore", di modo che, ricorrendo a penna e inchiostro, risolveremmo la questione in breve tempo.»
Il motivo per il quale Cartesio studia il suono è quello di comprendere in maniera più ampia come la musica riesca a commuoverci. Egli assume di poter capire tale proprietà dall'esame delle caratteristiche fondamentali che rendono commovente il suono, ovvero la durata e il tono. Egli è dell'opinione che una semplice analisi matematica della consonanza possa fornirci le nozioni fondamentali sul modo di produrre il suono e quindi sulla natura della musica.
Cartesio sviluppa l'idea che la dolcezza delle consonanze dipende dalla frequenza con cui i battiti prodotti dai corpi sonori coincidono a intervalli regolari. Tuttavia egli sostiene che la teoria matematica non può fornire un criterio di qualità estetica, criterio che dipende esclusivamente dai gusti dell'ascoltatore.
«Somministravano bastonate ai cani con perfetta indifferenza, e deridevano chi compativa queste creature come se provassero dolore. Dicevano che gli animali erano orologi; che le grida che emettevano quando erano percossi erano soltanto il rumore di una piccola molla che era stata toccata, e che il corpo nel complesso era privo di sensibilità. Inchiodavano poveri animali a delle tavole per le quattro zampe, per vivisezionarli e osservare la circolazione del sangue, che era un grande argomento di conversazione.»