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Per principianti
Compositori

Don Carlo

Compositore: Verdi Giuseppe

Strumenti: Voce Mixed chorus Orchestra

Tags: Opere

#Arrangiamenti

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1886 version, 5 acts. Complete Score PDF 48 MB1886 version, 5 acts. Act I PDF 6 MB1886 version, 5 acts. Act II PDF 14 MB1886 version, 5 acts. Act III PDF 11 MB1886 version, 5 acts. Act IV PDF 10 MB1886 version, 5 acts. Act V PDF 4 MB
1867 version, 5 acts. Complete Score (color scan) PDF 26 MB1867 version, 5 acts. Complete Score (monochrome) PDF 10 MB
1867 version, 5 acts. Complete Score PDF 16 MB
1884 version, 4 acts. Complete Score PDF 12 MB
1867 version, 5 acts. Complete Score PDF 10 MB
1884 version, 4 acts. Complete Score PDF 8 MB
1867 version, 5 acts. 15. Scène et air : "Elle ne m'aime pas" (Act IV) PDF 0 MB

Arrangiamenti:

Altri

Ella giammai m'amo. Violoncello(4) (Dunn, Bart)Complete (1867 Version, 5 Acts). Pianoforte (Unknown)Ce jour est plein d'allégresse (Finale). Pianoforte (Franz Liszt)Ce jour est plein d'allégresse (Finale). Pianoforte (Franz Liszt)Selections. Pianoforte (Rummel, Joseph)Complete (1867 Version, 5 Acts). Pianoforte (Unknown)Ce jour est plein d'allégresse (Finale). Chitarra + Mandolino(2) (Falorni, Giovanni)
Wikipedia
Il Don Carlo (o, originariamente, Don Carlos) è l'opera più complessa e monumentale di Giuseppe Verdi, su libretto di Joseph Méry e Camille du Locle tratto dall'omonima tragedia di Friedrich Schiller. Inoltre alcune scene sono ispirate al dramma Philippe II, Roi d'Espagne di Eugène Cormon.
Nel 1864 a Verdi da Parigi venne la richiesta di comporre un nuovo Grand-Opéra, e nell'estate del 1865 arrivò il libretto.
La prima rappresentazione, in cinque atti e in lingua francese, ebbe luogo l'11 marzo 1867 alla Salle Le Peletier del Théâtre de l'Académie Impériale de Musique di Parigi (era la sede dell'Opéra national de Paris).
In seguito l'opera fu tradotta in italiano da Achille De Lauzières e rimaneggiata a più riprese; la prima in italiano fu nel Regno Unito, al Royal Italian Opera (oggi Royal Opera House, Covent Garden di Londra) il 4 giugno dello stesso anno, diretta da Michele Costa.
Gli interpreti e gli artisti coinvolti nella prima assoluta francese furono i seguenti:
In Italia la prima fu il 27 ottobre 1867 al Teatro Comunale di Bologna con Angelo Mariani (direttore d'orchestra), Teresa Stolz, Antonietta Fricci e Antonio Cotogni, nella traduzione di Achille De Lauzières-Thémines e Angelo Zanardini.
Nel 1872 Verdi operò alcune modifiche minori con la collaborazione di Antonio Ghislanzoni, il librettista dell'Aida. La revisione più importante fu realizzata oltre 10 anni dopo e comportò l'eliminazione dell'originario atto primo.
Le modifiche al libretto furono messe a punto da du Locle, ma la versione in 4 atti andò in scena al Teatro alla Scala di Milano il 10 gennaio 1884 nella revisione di Du Locle per la traduzione di de Lauzières-Thémines e Zanardini («Il Don Carlos è ora ridotto in quattro atti, sarà più comodo, e credo anche migliore, artisticamente parlando. Più concisione e più nerbo», scrisse il compositore). Gli interpreti e gli artisti coinvolti furono i seguenti:
Due anni dopo Verdi si pentì del taglio e l'opera andò in scena per la prima nel Teatro Comunale Nuovo (oggi Teatro comunale Luciano Pavarotti) di Modena, il 29 dicembre 1886, in una nuova versione in cinque atti (senza le danze dell'originale francese) che fu anche pubblicata da Ricordi nella riduzione per canto e pianoforte. Ciò nonostante, i teatri italiani continuarono a preferire la versione del 1884 in quattro atti.
Il Don Carlo segue di cinque anni La forza del destino (1862) e precede di quattro l'Aida (1871): il maggiore spazio di tempo che Verdi si concede si rispecchia in un maggiore grado di elaborazione dei prodotti finali, sia nei fattori strettamente testuali (il libretto) che più propriamente musicali (in particolare, il maggior respiro concesso all'orchestrazione).
La sua stesura fu piuttosto lunga e impegnò Verdi per oltre un anno. Ne deriverà un mastodontico Grand Opéra, corredato di balletti e grandiose scene corali definibili quasi "di massa" in armonia con le consuetudini dell'opulento genere operistico francese.
Le tematiche chiave sono tre:
In quest'opera Verdi affina la ricerca psicologica avviata con le opere della "trilogia popolare": Filippo II viene presentato come una personalità negativa, che nel terzo atto (versione in quattro atti) rivela tuttavia un lato intimamente patetico. Tra gli innamorati verdiani, Don Carlos è quello dal carattere più romanticamente impulsivo, al limite dell'isteria. Elisabetta, l'amata, destinata a diventare la sua matrigna, è una figura femminile rassegnata all'infelicità. Le figure di Rodrigo, Marchese di Posa, e della Principessa Eboli, costituiscono il motore della vicenda. Su tutti incombe la possente figura del Grande Inquisitore, arbitro dei destini di tutti, alla cui volontà lo stesso Filippo dovrà piegarsi.
Questa trama si riferisce alla versione parigina del 1867, in cinque atti.
Il primo si svolge in Francia, gli altri in Spagna verso il 1560.
La foresta di Fontainebleau, in Francia, d'inverno.
Elisabetta di Valois, figlia del re di Francia Enrico II, attraversa la scena col paggio Tebaldo e il resto del suo seguito, e getta monete ad alcuni boscaioli che si trovano nei pressi.
L'infante di Spagna, Don Carlo, è giunto segretamente in Francia per conoscere Elisabetta, sua promessa sposa: la loro unione suggellerà la pace tra Francia e Spagna, dopo decenni di lotte (Guerra d'Italia del 1551-1559) tra la Casa d'Asburgo e i Valois. Carlo si trova nella foresta (Fontainebleau!… Forêt immense et solitaire! / Fontainebleau! Foresta immensa e solitaria!), osserva Elisabetta non visto e se ne innamora (Je l'ai vue, et dans son sourire / Io la vidi e al suo sorriso). Quando Elisabetta ricompare, avendo perduto la strada per tornare al castello, Carlo inizialmente finge di essere un membro della delegazione del conte di Lerma, ambasciatore spagnolo in Francia. Poi, quando Tebaldo li lascia soli per cercare la strada del ritorno, Carlo annuncia a Elisabetta che le mostrerà il ritratto del futuro sposo: Elisabetta alla vista del ritratto capisce chi ha di fronte, e Carlo le rivela i suoi sentimenti, che lei ricambia (De quels transports poignants et doux / Di quale amor - di quanto ardor). Ma dopo che un colpo di cannone ha annunciato che è stata dichiarata la pace tra Spagna e Francia, il paggio Tebaldo ritorna informando Elisabetta che le è stato chiesto di concedere la propria mano non a Carlo, ma al padre di lui, Filippo II. Giunge anche Lerma, che conferma la decisione di Enrico, sollecitando una risposta da Elisabetta. Elisabetta, pur amando Carlo, si sente tenuta ad accettare, per consolidare la pace. Elisabetta e il corteggio partono, mentre Carlo rimane solo e disperato.
Il chiostro del convento di San Giusto (San Girolamo di Yuste), in Estremadura, Spagna.
I frati ricordano l'imperatore Carlo V (Charles-Quint, l'auguste Empereur / Carlo il sommo imperatore), recentemente scomparso, la cui tomba si trova nel convento; un frate invoca per lui la pace eterna chiedendo che ne venga perdonato l'immenso orgoglio. Compare Carlo, nipote dell'imperatore, angosciato perché la donna che ama, sposandosi con suo padre, è divenuta la sua matrigna. Il frate, in cui Carlo crede di riconoscere le fattezze del nonno, si è fermato ad ascoltarne le parole, e lo ammonisce che solo in cielo potrà trovare pace.
Giunge al convento Rodrigo, marchese di Posa, intimo amico di Carlo, che, appresa da quest'ultimo la sua disperata situazione, gli chiede di farsi inviare da Filippo nelle Fiandre, per difendere la popolazione fiamminga oppressa dal duro regime imposto da Filippo. Rodrigo e Carlo si rinnovano la promessa di eterna amicizia (Dieu, tu semas dans nos âmes / Dio, che nell'alma infondere). Poco dopo giunge al convento Filippo, conducendo Elisabetta, e alla loro vista si riaccende la disperazione di Carlo.
Un sito ridente alle porte del chiostro di San Giusto.
La principessa Eboli è in compagnia di Tebaldo e delle dame della regina, e canta la canzone del velo (Au palais des fées des rois Grenadins / Nei giardin del bello saracin ostello), che narra di un re moro che corteggia una bellezza velata che poi si rivela sua moglie.
Giungono anche Elisabetta e Rodrigo. Quest'ultimo, col pretesto di darle una lettera proveniente dalla Francia, riesce a consegnare a Elisabetta un messaggio di Carlo, che la regina legge turbata. Rodrigo implora Elisabetta di acconsentire a un incontro con Carlo (L'Infant Carlos, notre espérance / Carlo, ch'è sol il nostro amore). Rodrigo e la principessa si allontanano chiacchierando. Quando Carlo giunge può restar solo con Elisabetta, e le chiede d'intercedere presso Filippo affinché gli conceda di recarsi nelle Fiandre. Elisabetta accetta, ma Carlo non sa dominare i propri sentimenti e le rinnova le proprie dichiarazioni d'amore, poi fugge disperato. Arriva Filippo, che s'infuria quando vede che Elisabetta è stata lasciata sola e ne caccia la dama di compagnia, contessa di Aremberg, imponendole di tornare in Francia; Elisabetta saluta tristemente la donna (O ma chère compagne / Non pianger, mia compagna).
Filippo resta solo con Rodrigo, di cui apprezza il carattere e l'audacia, e questi lo implora di concedere la libertà alle Fiandre (O Roi! j'arrive de Flandre / O signor, di Fiandra arrivo). Filippo non ascolta la supplica di Rodrigo, ma lo mette in guardia dal Grande Inquisitore, per il quale le idee di Rodrigo costituiscono una grave colpa. Poi Filippo cerca di farsi Rodrigo alleato, confidandogli il sospetto che Carlo stia cercando di strappargli Elisabetta e chiedendogli di sorvegliarli.
I giardini della regina a Madrid.
Si sta svolgendo la festa della regina, ma Elisabetta non se la sente di partecipare e preferisce ritirarsi in preghiera, come ha fatto anche Filippo. Per fare in modo che la sua assenza non venga notata, Elisabetta scambia il proprio mantello e la maschera con quelli della principessa di Eboli.
Si svolge poi il ballo della Peregrina, ambientato in una grotta di madreperla, in cui si immagina che le perle dell'oceano si spoglino delle loro bellezze per fonderle nella Peregrina, il più bel gioiello della corona di Spagna, personificata dalla Regina, che appare al termine del ballo sopra un carro sfolgorante.
Terminato il ballo, a mezzanotte Carlo giunge nei giardini. Ha ricevuto un biglietto con l'invito a un appuntamento, e si presenta credendo che l'invito venga da Elisabetta, mentre in realtà è della Eboli, falsamente convinta che Carlo sia innamorato di lei. Giunge anche la principessa, velata, che si rende conto che Carlo pensa di trovarsi di fronte alla regina, di cui è innamorato. Prima di esser riconosciuta, rivela a Carlo di avere udito Rodrigo e il re parlar di lui in modo sinistro; poi giunge Rodrigo in persona. La Eboli minaccia di rovinarli (Redoutez tout de ma furie / Al mio furor sfuggite invano). Rodrigo fa per pugnalarla, ma è fermato da Carlo; la principessa esce furibonda.
Rodrigo chiede a Carlo di affidargli eventuali documenti compromettenti; Carlo, che per qualche istante aveva dubitato della fedeltà dell'amico, si ricrede e acconsente.
Una gran piazza innanzi a Nostra Donna d’Atocha, cattedrale di Valladolid.
Nella piazza si eleva una catasta sulla quale saranno messi al rogo i condannati del Santo Uffizio. Il popolo festeggia (Ce jour est un jour d'allégresse / Spuntato ecco il dì d'esultanza), mentre alcuni frati attraversano la scena conducendo i condannati (Ce jour est un jour de colère / Il dì spuntò, dì del terrore). Segue il corteo reale, e per ultimo il re stesso, che si rivolge al popolo ricordando di avere indossato la corona giurando di dar la morte ai ribelli. Ma subito giunge Carlo, conducendo con sé sei deputati fiamminghi, che si prostrano e implorano a Filippo la pace per il loro paese. Carlo chiede invano a Filippo di divenire reggente del Brabante e delle Fiandre. I popolani e i cortigiani appoggiano le ragioni dei fiamminghi, ma Filippo, spalleggiato dai frati, ordina che i deputati vengano allontanati. Carlo perde il controllo e sguaina la spada minacciando il re stesso, che chiede aiuto, ma i grandi di Spagna indietreggiano davanti a Carlo. Interviene però Rodrigo, che convince Carlo a riporre la spada. Il re, riconoscente, promuove Rodrigo a duca. Tutti s'incamminano per assistere all'auto-da-fé, mentre dal cielo scende una voce a consolare i condannati.
Il gabinetto del re a Madrid. L'alba.
Filippo, come trasognato, medita sul fatto che Elisabetta non lo ha mai amato, e pensa che solo nella tomba che lo accoglierà all'Escoriale potrà ritrovare il sonno e la pace (Elle ne m'aime pas! / Ella giammai m'amò!). Il conte di Lerma annuncia il Grande Inquisitore, cieco e novantenne: Filippo gli dice che intende mettere a morte Carlo, colpevole di tradimento, e gli chiede se si opporrà a questa decisione. Il Grande Inquisitore lo appoggia, ricordando che anche Dio ha fatto morire il proprio figlio per riscattare l'umanità. Poi il Grande Inquisitore chiede la morte anche di Rodrigo, le cui idee mettono a repentaglio il potere della Chiesa (Dans ce beau pays, pur d'hérétique levain / Nell'ispano suol mai l'eresia dominò); Filippo tenta inutilmente di opporsi.
Partito l'Inquisitore, entra Elisabetta, a cui è stato sottratto uno scrigno che conteneva oggetti preziosi. Filippo, con espressione terribile, estrae lo scrigno da un cassetto e mostra a Elisabetta che esso contiene un ritratto di Carlo, accusandola di averlo tradito. Elisabetta proclama la propria innocenza, poi, minacciata da Filippo, sviene. Filippo chiede aiuto e accorrono la Eboli e Rodrigo. Il re capisce di avere ingiustamente offeso sua moglie; Rodrigo si rende conto che la situazione sta precipitando, ed è disposto a sacrificarsi per assicurare un avvenire migliore alla Spagna. Elisabetta rinviene.
Quando i due uomini escono, la Eboli confessa di essere stata lei a rubare lo scrigno e consegnarlo a Filippo, accecata dalla rabbia per l'amore non corrisposto da Carlo. Elisabetta la punisce imponendole di scegliere tra l'esilio e la vita in convento. Eboli, rimasta sola, maledice la bellezza che il cielo le ha donato, che la rende altera e dissennata (O don fatal et détesté / O don fatale), poi decide che sceglierà il convento, ma prima cercherà di salvare Carlo.
La prigione di Carlo, in un oscuro sotterraneo.
Carlo, accusato di essere agitatore delle Fiandre, è stato imprigionato. Giunge Rodrigo, accompagnato da alcuni ufficiali che subito si allontanano. Rodrigo spiega a Carlo di esser riuscito a salvarlo: ha fatto trovare su di sé i documenti compromettenti che Carlo gli aveva consegnato, attirando su sé stesso le accuse rivolte all'amico; per questo Rodrigo sa che presto dovrà morire (Oui, Carlos! c'est mon jour suprême / Per me giunto è il dì supremo). Poco dopo giungono due uomini, uno dei quali indossa le vesti del Sant'Uffizio; essi indicano Carlo e Rodrigo, e subito dopo uno di loro spara a Rodrigo con un archibugio, ferendolo mortalmente. Rodrigo fa in tempo a dire a Carlo che Elisabetta lo attende il giorno seguente a San Giusto, poi muore. Carlo si getta disperato sul suo corpo.
Giunge Filippo, per rendere al figlio la libertà. Carlo lo respinge, accusandolo di essere colpevole della morte di Rodrigo, di cui mostra il cadavere. Filippo, commosso, si scopre il capo.
Giunge il conte di Lerma, annunciando una rivolta popolare per la liberazione di Carlo. La principessa di Eboli, accorsa mascherata, riesce a liberare Carlo, che il popolo trascina fuori. Filippo affronta i ribelli, che non sembrano temerlo. Soltanto l'intervento del Grande Inquisitore, alla cui autorità la popolazione non osa opporsi, mette fine alla sommossa.
Il chiostro del convento di San Giusto come nell'Atto II. Notte. Chiaro di luna.
Elisabetta entra, s'inginocchia presso la tomba di Carlo V, prega l'anima del vecchio imperatore d'intercedere per lei presso Dio e ricorda tristemente le illusioni giovanili dei tempi di Fontainebleau (Toi qui sus le néant des grandeurs de ce monde / Tu che le vanità conoscesti del mondo).
Giunge Carlo, per un ultimo saluto a Elisabetta prima di separarsi per sempre. Elisabetta esorta Carlo a recarsi nelle Fiandre a far vivere gli ideali di Rodrigo, poi gli chiede di dimenticare ciò che c'è stato tra loro. Mentre si stanno salutando augurandosi di rivedersi nel cielo, vengono sorpresi da Filippo e dal Grande Inquisitore. Il re afferma che ci dev'essere un doppio sacrificio (la morte di Elisabetta e Carlo): proclama che farà il proprio dovere e chiede che l'Inquisizione faccia altrettanto. Filippo e il Grande Inquisitore, implacabili, accusano Carlo di tradimento, e quest'ultimo indietreggia verso la tomba di Carlo V.
Si apre il cancello della tomba e appare il frate del secondo atto che in realtà è l'imperatore Carlo V, creduto morto. Il frate copre Carlo, smarrito, col proprio mantello, e lo trascina con sé, ripetendo che solo in cielo si può trovare pace. Dalla cappella i monaci pregano per l'anima dell'Imperatore, chiedendo a Dio di risparmiargli la sua collera.
La seguente tabella riassume le più importanti differenze tra le tre principali versioni dell'opera. Relativamente alla versione del 1867, sono elencate le modifiche apportate rispetto alla prima versione completa scritta da Verdi, pronta verso la fine del 1866. Queste modifiche si resero necessarie per limitare la lunghezza dell'opera (a mezzanotte partiva l'ultimo treno che avrebbe ricondotto a casa gli spettatori); alcune furono apportate prima delle prove generali, altre dopo le prove.
Per le altre versioni sono elencate le modifiche rispetto alla rappresentazione del 1867.
La partitura di Verdi prevede l'utilizzo di:
Da suonare sul palco:
I brani si riferiscono alla versione originale in cinque atti.
I numeri musicali presentati si riferiscono alla versione del 1884, con versi in italiano e in quattro atti.