Compositori

Exultate Deo

Compositore: Scarlatti Alessandro

Strumenti: Voce Soprano Alto Tenore Basso

Tags: Mottetto Sacred choruses Choruses Musica sacra

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Alessandro Scarlatti (Palermo, 2 maggio 1660 – Napoli, 24 ottobre 1725) è stato un compositore italiano di musica barocca. Considerato dai musicologi come uno dei più importanti rappresentanti della scuola musicale napoletana, fu il maggiore compositore d'opera italiano tra la fine del XVII e l'inizio del XVIII secolo.
Era il padre del compositore Domenico Scarlatti, ricordato per il suo fondamentale apporto alla sonata per clavicembalo del XVIII secolo.
Nacque a Palermo il 2 maggio 1660 da Pietro Scarlata (la forma "Scarlatti" sarà utilizzata solo dal 1672), originario di Trapani, ed Eleonora Amato. Fu battezzato il giorno seguente nella parrocchia di S. Antonio abate. Fu fratello maggiore del musicista Francesco Scarlatti e della cantante Anna Maria Scarlatti. Con la sorella Anna Maria si trasferì a Roma nel 1672. Non è noto con chi abbia studiato in questi primi anni in cui visse nella città. Non ci sono documenti né indizi che comprovino un supposto apprendistato con l'ormai anziano compositore Giacomo Carissimi morto nel 1674.
Il 12 aprile 1678, nella chiesa di S. Andrea della Fratte, si unì in matrimonio con Vittoria Ansalone. Dalla loro unione nacquero numerosi figli, tra i quali si ricordano i musicisti Domenico Scarlatti e Pietro Filippo Scarlatti.
Nel dicembre 1678 fu nominato maestro di cappella della Chiesa di S. Giacomo degli Incurabili (oggi S. Giacomo in Augusta). Un mese più tardi ottenne la sua prima importante commissione in veste di compositore. Il 27 gennaio 1679 l'arciconfraternita del SS. Crocifisso di S. Marcello gli commissionò un oratorio da eseguirsi nel terzo venerdì di quaresima:
«A dì 27 gennaio 1679. E fu resoluto nel modo di tenere circa l'elezione de li mastri di cappella che devono fare l'oratorii nelli cinque venerdì di quaresima […] si pensava per parte del Sig. Duca Altemps di valersi del Sig. Foggia, il Sig. Duca D'Acquasparta il Sig. Don Pietro Cesi, il Sig. Duca di Paganica il Scarlattino alias il Siciliano [...]»
Nel carnevale del 1679 guadagnò il primo successo come operista con Gli equivoci nel sembiante, dramma per musica, più volte ripreso in diverse città italiane (Bologna, 1679; Napoli, 1680 e 1681; Vienna, 1681, Ravenna, 1685 ecc.). Il felice esito dell'opera gli valse la protezione della regina Cristina di Svezia, che lo assunse al suo servizio come maestro di cappella. Grazie anche all’appoggio di Cristina e all’intraprendenza teatrale del celebre architetto Gian Lorenzo Bernini e dei figli, suoi primi impresari, il giovane Scarlatti poté avviare una brillante quanto rapida carriera che lo avrebbe imposto come il maggior operista nei principali teatri italiani del tempo. Al successo degli Equivoci nel sembiante seguirono L'onestà negli amori (1680) e Tutto il mal non vien per nuocere (1681), e poi Il Pompeo (1683) al teatro di palazzo Colonna e L'Arsate (1683) in palazzo Orsini.
Dal novembre 1682 fu organista e maestro di cappella della chiesa di S. Girolamo della Carità. Conservò quest'incarico fino ad ottobre 1683, quando lasciò Roma per trasferirsi a Napoli, probabilmente chiamato dal nuovo viceré marchese del Carpio, già ambasciatore spagnolo a Roma, insieme a una compagnia di cantanti e strumentisti, e allo scenografo Filippo Schor per mettere in scena alcune opere già rappresentate a Roma. Negli ultimi due mesi del 1683 vennero rappresentate nel palazzo reale di Napoli le sue opere L'Aldimiro e La Psiche, e nel carnevale 1684 Il Pompeo, già rappresentato l'anno precedente a Roma nel teatro di palazzo Colonna. A queste fece seguito la regolare produzione di una o due opere l'anno rappresentate nel teatro del Real palazzo. Nel febbraio 1684, grazie all'appoggio del viceré poté subentrare al defunto Pietro Andrea Ziani come maestro della Real cappella di Napoli. La nomina infranse la tradizione per cui i membri della cappella, perlopiù locali, erano stati sempre distinti da quelli di teatro, e non favorì i rapporti di Scarlatti con i musicisti napoletani.
Nel primo periodo napoletano (1683-1702) Scarlatti fu il principale compositore teatrale della città, portando in scena regolarmente almeno un paio di opere l'anno. Compose anche diverse serenate e musica sacra, pubblicando la raccolta Mottetti sacri (Napoli, Muzio, 1702), poi ristampata ad Amsterdam col titolo Concerti sacri (E. Roger, 1707-08).
In quegli anni, pur risiedendo a Napoli, Scarlatti continuò a frequentare Roma e a mantenere intensi rapporti di collaborazione con i più importanti mecenati della città papale. Tra questi, il cardinale Benedetto Pamphilj, per il quale mise in musica l'oratorio a tre voci Il trionfo della grazia ovvero la conversione di Maddalena (1685) e il III atto dell'opera La Santa Dimna (1687), entrambe su libretto dello stesso porporato, e l'opera La Rosmene ovvero l'infedeltà fedele (1686) su libretto di Giuseppe Domenico De Totis; il cardinale Pietro Ottoboni, di cui mise in musica l'oratorio a cinque voci La Giuditta (1693 e 1695), il dramma La Statira (1690), e il secondo atto dell'opera La Santa Genuinda (1694); e il principe Antonio Ottoboni, padre del cardinale, di cui mise in musica l'oratorio La Giuditta.
Alla fine degli anni '80 Scarlatti intraprese rapporti diretti con il principe Ferdinando de' Medici, che si avvalse della sua collaborazione sia per le opere destinate al teatro della villa medicea di Pratolino e altri teatri del granducato di Toscana, sia per la composizione di musiche sacre destinate a particolari ricorrenze solennemente celebrate in corte. Dopo la ripresa delle opere, già rappresentate a Roma, Tutto il mal non vien per nuocere a Firenze e Il Pompeo a Livorno, nel 1689 Ferdinando gli commissionò per Pratolino la musica di una commedia, forse La serva favorita su libretto di Giovanni Cosimo Villifranchi. Nel 1698 venne eseguita a Pratolino L'Anacreonte, cui seguirono Flavio Cuniberto (1702), Arminio (1703), Turno Aricino (1704), Lucio Manlio (1706), Il gran Tamerlano (1706).
Nel 1702, dopo la morte del re Carlo II e l'instabilità politica conseguente ai contrasti tra Asburgo e Borbone per la successione del regno di Spagna, Scarlatti, ottenuta una licenza, si allontanò da Napoli per recarsi a Firenze, confidando nel favore del principe Ferdinando de' Medici per ottenere una nuova sistemazione per sé e per il figlio Domenico che lo seguiva. Fallito il tentativo, ritornò a Roma, città a lui più familiare, con cui aveva mantenuto sempre stretti contatti. Nel gennaio 1703 fu nominato coadiutore del maestro di cappella Giovanni Bicilli a S. Maria in Vallicella (Chiesa Nuova), e il 31 dicembre dello stesso anno coadiutore del maestro di cappella Antonio Foggia a S. Maria Maggiore, subentrando come titolare nel luglio 1707.
In questi anni romani (1703-1708) Scarlatti, godendo della protezione del cardinale Ottoboni, al cui servizio era entrato nell'aprile 1705, compose numerosi oratori, eseguiti a S. Maria in Vallicella, al palazzo della Cancelleria, al Seminario Romano, a palazzo Ruspoli e in altri luoghi, come La santissima Annunziata (1703), Il regno di Maria Vergine (1704), Il Sedecia (1706), Il martirio di s. Cecilia (1708), l'Oratorio per la passione di nostro Signore (1708). Compose anche molta musica sacra, soprattutto per la basilica liberiana, la Missa Clementina in onore di Clemente XI e un Miserere per la cappella pontificia. Durante quegli anni entrò in contatto con il cardinale Vincenzo Grimani, che fu a Roma nel 1706 in missione diplomatica per conto dell'imperatore allo scopo di riportare sotto gli Asburgo il regno di Napoli. Il rapporto con il Grimani valse a Scarlatti la commissione per due opere, Mitridate e Il trionfo della libertà, rappresentate nel carnevale 1707 nel teatro S. Giovanni Grisostomo di Venezia, di proprietà della famiglia Grimani. Nello stesso anno a Venezia fu pure eseguito il suo oratorio Cain overo il primo omicidio su testo di Antonio Ottoboni.
Nel dicembre 1708, approfittando del cambio di regime nel viceregno di Napoli e del fatto che il cardinale Grimani era stato nominato viceré, Scarlatti rivolse a lui una supplica per ottenere il reintegro nel posto di maestro di cappella della Real Cappella. La richiesta fu accettata all'inizio di gennaio 1709 e di lì a poco il compositore fece ritorno a Napoli.
A Napoli proseguì l'attività operistica, portando in scena una o due opere l'anno fino al 1719, ma nonostante singoli successi come Il Tigrane (1715), Carlo re d'Alemagna (1716), e la commedia per musica Il Trionfo dell'onore (1718),, Scarlatti dovette subire sempre più la forte concorrenza della nuova generazione di compositori d'opera napoletani, quali Leonardo Leo, Domenico Sarro, Nicola Porpora, da lui distanti per stile e scuola, che si sarebbero affermati sulle scene italiane dalla fine degli anni '20 in avanti. Va ricordato, però, che già nei primi anni del Settecento, lo stile operistico di Scarlatti era da taluni giudicato "malinconico", "difficile", "più da stanza [camera] che da teatro", perché particolarmente complesso, essendo fondato essenzialmente sul contrappunto tra voce e strumenti, e su uno stretto ed equilibrato rapporto tra musica e testo. Il nuovo stile che appare nell'opera italiana, e in particolare nella scuola napoletana, dagli anni Venti del Settecento, abbandona la scrittura contrappuntistica e privilegia la distinzione di compiti tra parte vocale e accompagnamento orchestrale, preferendo una scrittura armonica di ampio respiro e semplificata nelle modulazioni, per dare maggiore risalto ai virtuosismi dei cantanti. Per questi motivi non ha fondamento una vetusta idea ottocentesca che vede in Scarlatti il tra i fondatori della Scuola musicale napoletana. Il compositore, tra l'altro, non ebbe mai incarichi di insegnamento nei conservatori napoletani, né sembra avere avuto veri e propri allievi, ad eccezione del figlio Domenico, e di musicisti non napoletani, come Francesco Geminiani, Domenico Zipoli, e i tedeschi Johann Adolph Hasse e Johann Joachim Quantz, con cui ebbe solo brevi e fugaci contatti, per giunta riferiti da fonti indirette e posteriori di molti decenni ai fatti. A Napoli, fra il 1711 e il 1723, compose almeno sei serenate eseguite al Palazzo Reale o in altri palazzi della nobiltà di più alto rango.
Durante gli anni napoletani, Scarlatti non interruppe mai i rapporti con Roma: qui nel 1712 al teatro del palazzo della Cancelleria fu rappresentata la sua opera Il Ciro, su libretto del cardinale Ottoboni che ne fu il committente e patrocinatore. Nel 1715 il papa Clemente XI gli conferì il titolo di cavaliere dell'Ordine di Gesù Cristo. Altre sue opere andarono in scena al teatro Capranica: Telemaco (1716), Cambise (1718), Marco Attilio Regolo (1719) e La Griselda (1721; libretto Apostolo Zeno). Nel 1720 compose una messa con un graduale, e antifone, inno e Magnificat per i vespri della festa di s. Cecilia, celebrata nella chiesa dedicata alla santa, su commissione del cardinale Francesco Acquaviva d'Aragona, titolare della basilica.
Nel 1721 al teatro di Haymarket di Londra fu eseguita la sua cantata La gloria di primavera con la partecipazione del celebre soprano Margherita Durastanti.
Scarlatti condusse gli ultimi anni della sua vita, stimato e venerato dai più apprezzati musicisti dell'epoca in visita a Napoli, tra cui Johann Adolph Hasse e il flautista Johann Joachim Quantz. Tuttavia poco prima di morire dovette inviare una supplica al viceré per ottenere qualche incremento al suo stipendio, lamentando le difficoltà economiche che si trovava ad affrontare.
Morì a Napoli il 22 ottobre 1725 e fu sepolto nella chiesa di Santa Maria a Montesanto, dove nella cappella di S. Cecilia si legge ancora l'iscrizione sulla lapide tombale, forse dettata dal cardinale Ottoboni:
«Heic situs est | eques Alexander Scarlatus | vir moderatione beneficentia | pietate insignis | musices instaurator maximus»(«Qui è sepolto il cavaliere Alessandro Scarlatti, uomo insigne per equilibrio, generosità e bontà, massimo innovatore della musica»)
La formazione musicale di Scarlatti avvenne essenzialmente a Roma, dove era arrivato ancora dodicenne. Qui formò il suo stile sia nel campo della musica sacra sia in quello operistico. A Roma, nel corso del Seicento l'opera si sviluppò soprattutto nei teatri privati della nobiltà e meno nei teatri pubblici; questi, infatti, nel corso del XVII secolo non furono aperti in modo regolare, come invece accadeva a Venezia, ma furono talvolta ostacolati dall'autorità papale, che opponeva una qualche resistenza a concedere le licenze per motivi d'ordine morale. Ciononostante, negli ultimi tre decenni del Seicento furono attivi, pur non continuativamente, i teatri Tordinona, Capranica e della Pace, oltre a quelli gestiti dagli architetti Gian Lorenzo Bernini, Giovan Battista Contini e Mattia de' Rossi, e quello di palazzo Colonna. Scarlatti mise in musica sia opere del genere della commedia (Gli equivoci nel sembiante, L'onestà negli amori, Tutto il mal non vien per nuocere), i cui libretti furono scritti da letterati romani come Pietro Filipo Bernini e Giuseppe Domenico De Totis, sia nel genere del dramma, come L'Arsate, su libretto del principe Flavio Orsini o Il Pompeo, su libretto del veneziano Nicolò Minato. Il successo delle sue opere fu determinante per il suo trasferimento a Napoli nel 1683, dove fu chiamato dal marchese del Carpio, appena nominato viceré, dopo essere stato per alcuni anni a Roma in qualità di ambasciatore spagnolo.
Lo stile di Scarlatti andò evolvendosi verso la fine del XVII secolo per adeguarsi al gusto teatrale corrente: pur conservando una scrittura fondata sul contrappunto tra voci e strumenti, le sue arie diventano più estese, e presentano sempre più spesso accompagnamenti affidati alle parti strumentali piuttosto che al solo basso continuo, come invece usava agli inizi della sua attività; il virtuosismo richiesto ai cantanti nella sua musica, più che sfoggio di mere abilità tecniche, richiede maggiore espressività e attenzione al testo scritto. Il suo stile denso ed elaborato dal punto di vista del contrappunto e dell'armonia, per nulla compiacente verso pubblici non selezionati e poco raffinati, fu posto ben presto a contrasto con lo stile in voga nei teatri veneziani e del nord Italia, quando gli arrivarono numerose commissioni per i teatri di questi territori. Nel 1686 il nobile Carlo Borromeo, desiderando avere un'opera di Scarlatti per il suo teatro sull’Isola Bella, dopo il successo dell’Aldimiro a Milano, affermava che «l’eccellenza della musica» del compositore aveva «maggiore proprietà e modestia di quelle di Venezia, che sono quelle che si sentono nel nostro teatro di Milano». La rappresentazione veneziana del Mitridate Eupatore (1707) considerato uno dei suoi capolavori, gli valse critiche per l'eccessiva severità dello stile e per una certa noia che avrebbe apportato agli spettatori, come si legge in un passo della malevola satira in versi contro il Scarlatti musico del cavalier Bartolomeo Dotti:
«Che sia musica soavespirti rei negar nol ponnoSe negli occhi a chi non l'have –introduce un dolce sonno.»
Il conte bolognese Francesco Maria Zambeccari, acuto osservatore dei costumi musicali e attento interprete dei gusti del pubblico contemporaneo, segnalò per primo nel 1709 uno dei principali motivi che contribuirono alla difficile recezione del repertorio teatrale delle opere di Scarlatti nei teatri del nord Italia:
«Alessandro Scarlatti è un grand'uomo, e per essere così buono, riesce cattivo, perché le compositioni sue sono difficilissime e cose da stanza, che in teatro non riescono; in primis chi s'intende di contrapunto le stimarà, ma in un'udienza d'un teatro di mille persone, non ve ne sono venti che l'intendono.»
Zambeccari osservò l'estrema complessità della scrittura che contraddistingueva il linguaggio d'un compositore più incline a uno stile severo, nutrito da una solida dottrina contrappuntistica, riflesso della sua formazione romana e dell'aver dovuto soddisfare i gusti esigenti e raffinati dei suoi patrocinatori e committenti romani.
Gli oratori di Scarlatti rivestono un'importanza non inferiore rispetto alle sue opere nell'ambito della sua produzione. Indubbiamente la consuetudine con questo genere fu favorita dalla sua popolarità e diffusione in vari ambienti a Roma. Nella città papale esistevano congregazioni, come quella dell'Oratorio in S. Maria in Vallicella (Chiesa Nuova), e confraternite, come quella di S. Girolamo della Carità, le cui attività comprendevano la regolare esecuzione di oratori nelle domeniche e nei giorni festivi. Inoltre altre confraternite erano solite far eseguire oratori in particolari periodi dell'anno, come quella del Ss. Crocifisso di S. Marcello in quaresima e quella di S. Maria dell'Orazione e Morte, nell'ottava dei Defunti, o in particolari occasioni nei collegi religiosi. Oratori venivano eseguiti anche nei palazzi della nobiltà e della prelatura, avendo assunto un ruolo alternativo e complementare all'opera a cui si avvicendavano nel periodo quaresimale. Rispetto all'opera, pur utilizzando il comune linguaggio poetico-musicale che vede alternarsi recitativi e arie (o duetti) l'oratorio non prevedeva azione scenica, né tantomeno veniva rappresentato su un palcoscenico, ma soltanto con il canto accompagnato dagli strumenti. Svincolato dalla sacralità della lingua latina (rimasta in uso, per antica consuetudine, soltanto al Ss. Crocifisso), l'oratorio in lingua italiana poteva così circolare negli ambienti secolari e religiosi, senza tuttavia interferire con le pratiche sacre. A Roma Scarlatti esordì proprio con un oratorio nella quaresima 1679 al Ss. Crocifisso. In seguito pose in musica diversi oratori su testi scritti dai suoi principali protettori: Il trionfo della grazia overo la conversione di Maddalena (Roma, 1685) di Benedetto Pamphilj; La Giuditta (1695), La Ss. Annunziata (1703), Il regno di Maria vergine (1705), Il martirio di s. Cecilia (1708) e l’Oratorio per la Passione di nostro Signor Gesù Cristo (noto anche col titolo La Colpa, il Pentimento, la Grazia) (1708) di Pietro Ottoboni. A questi si aggiungono capolavori come Agar et Ismaele esiliati (1683; testo Giuseppe Domenico De Totis), Il martirio di Santa Teodosia (1684), una seconda Giuditta (su testo di Antonio Ottoboni), S. Casimiro (1704), S. Filippo Neri (1705), Sedecia re di Gerusalemme (1705), Cain overo il primo omicidio (1707) e altri, che furono rieseguiti in diversi centri italiani e a Vienna. Meno intensa fu la successiva produzione oratoriale di Scarlatti a Napoli: si contano soltanto Il trionfo del valore ortorio per il giorno di s. Giuseppe (1709), l'Oratorio per la Santissima Trinità (1715) e La Vergine Addolorata (1717).
Scarlatti compose quasi 700 cantate), di cui circa 600 a voce sola, per la maggior parte per soprano solo, ca. 70 per voce e strumenti, e ca. 20 a due voci. Il grande successo ottenuto da queste composizioni è testimoniato della loro eccezionale diffusione attraverso i manoscritti (oggi conservati in varie biblioteche in Italia e all'estero). Se le cantate dei primi anni romani appaiono improntate a una certa variabilità nella struttura interna, analogamente ai modelli di Luigi Rossi, Carissimi, Pasquini, verso la fine del XVII secolo esse sembrano confromarsi a una maggiore regolarità nell'alternanza recitativo-aria. Lo stile delle cantate scarlattiane fa pensare che fossero destinate principalmente a cantanti professionisti, di sicuro talento, e ad un pubblico selezionato, di ascoltatori particolarmente colti e raffinati, come quelli delle corti che orbitavano intorno a Cristina di Svezia, ai cardinali Pamphilj e Ottoboni, e ai principi Ruspoli, Rospigliosi e Odescalchi, o ai membri dell'Accademia dell'Arcadia, che nel 1706 accolse il compositore come membro, insieme con Bernardo Pasquini ed Arcangelo Corelli), grazie alla protezione del cardinale Ottoboni.
Alcuni importanti storici del Novecento hanno sottolineato l'importanza che la sinfonia avanti l'opera ideata da Scarlatti in questi anni rivestì nel fornire un modello per la prima fase di sviluppo della sinfonia classica.
Ciò che stupisce è che – dimenticata quasi completamente l'opera vocale (sacra, profana e operistica), l'Ottocento e anche il Novecento si siano dedicati con una certa assiduità solo alla diffusione e all'esecuzione del repertorio strumentale. Se le composizioni per tastiera, abbastanza numerose e generalmente di alto livello stilistico, risentono ancora dell'improponibile confronto con quelle del figlio Domenico, le Dodici sinfonie di concerto Grosso (1715) sono entrate a far parte stabilmente del bagaglio di molti gruppi specializzati nell'esecuzione di musica antica. Pur avendo faticato a liberarsi dal marchio di corellianità, le Sinfonie di concerto grosso sono riuscite a imporsi grazie al perfetto uso del contrappunto e soprattutto grazie alla bellezza delle melodie, venate da sottile e sublime malinconia, che è il tratto caratteristico e originale di tutta l'opera scarlattiana.