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Paride ed Elena

Compositore: Gluck Christoph Willibald

Strumenti: Voce Mixed chorus Orchestra

Tags: Opera seria Opere

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Aria: Oh del mio dolce ardor (Act I. sc.1). Complete Score (G minor, original key) PDF 0 MBAria: Oh del mio dolce ardor (Act I. sc.1). Complete Score (F minor, transposed) PDF 0 MBAria: Oh del mio dolce ardor (Act I. sc.1). Complete Score (E minor, transposed) PDF 0 MBAria: Oh del mio dolce ardor (Act I. sc.1). Complete Score (D minor, transposed) PDF 0 MB
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Act I PDF 66 MBAct II PDF 37 MB
Complete Score PDF 20 MB
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Altri

Ballet Suite. Orchestra (Felix Mottl)Tempo di minuetto. Pianoforte (Giuseppe Martucci)Chorus: Non sdegnare, o bella Venere (Act I, sc. 1). Organo (William Thomas Best)Maestoso et Chaconne (Act III). Pianoforte (Unknown)
Wikipedia
Paride ed Elena è un'opera lirica di Christoph Willibald Gluck su libretto di Ranieri de' Calzabigi rappresentata per la prima volta come Parid und Helena al Burgtheater di Vienna, il 3 novembre 1770. L'opera era dedicata al duca portoghese Giovanni di Braganza. È la terza opera della riforma gluckiana dopo Orfeo ed Euridice e Alceste.
È il terzo ed ultimo frutto della collaborazione di Gluck e Ranieri de' Calzabigi e presenta caratteristiche del tutto dissimili dai due precedenti lavori. In Orfeo ed Euridice ed Alceste i caratteri sia dei personaggi che dei valori proposti sono spiccatamente marcati, forti; qui invece questa caratterizzazione forte manca. In tutte e tre le opere si parla di unioni amorose, ma nelle prime due è la fedeltà coniugale il fulcro della vicenda, mentre nell'ultima è l'amore inteso come Eros nella sua massima esaltazione, contrapposto all’Agape, quest'ultimo descritto, in parole povere, come "amore disinteressato". Avviene dunque uno spostamento dal tema simbolico al tema umano, forse anche qui con un germe del romanticismo, ma prematuro e appena abbozzato.
Calzabigi aveva una particolare predilezione per il poeta Ovidio e da questo, e dalla famosa Ars amatoria, aveva ricevuto molta influenza per quest'opera. Nel dettaglio vi era una serie di elegie che egli era convinto fossero opera autentica del poeta, ma sono quasi certamente frutto di altre mani, magari ad esso vicine: si trattava di composizioni che narravano degli scambi epistolari tra Paride ed Elena (infatti uno scambio epistolare avviene anche nel dramma). Inoltre è il personaggio di Paride a risentire più di tutto il resto di questa influenza latina: egli è gaudente e languido, mentre Elena si mostra in termini del tutto opposti, molto più robustamente fiera e portatrice di una stretta moralità dell'epoca romana. Ad un confronto con i caratteri descritti da Omero, questa contrapposizione non si riscontra affatto.
Ciò viene espresso chiaramente nella prefazione dell'opera, firmata da Gluck (anche se sappiamo che è in realtà Calzabigi a parlare, come per Alceste).
«Altezza! Nel dedicare a Vostra Altezza questa mia nuova fatica cerco meno d'un protettore che d'un giudice. Un'anima sicura contro i pregiudizi della consuetudine, sufficiente cognizione de’ gran principii dell'arte, un gusto formato non tanto su’ gran modelli, quanto sugli invariabili fondamenti del bello e del vero, ecco le qualità ch'io cerco nel mio mecenate e che ritrovo riunite in Vostra Altezza. L’unica ragione, che m’aveva indotto a pubblicar colle stampe la mia musica dell’Alceste, era la speranza di trovar dei seguaci, che per la strada già aperta, e stimolati dai pieni suffragini d’un pubblico illuminato, s’animassero a distruggere gli abusi introdotti nello spettacolo italiano, e a portarlo, quanto più oltre si possa, alla perfezione. Ho il rammarico d’averlo finora tentato invano. I buongustai e gli scioli, di cui infinita è la turba, e che sono il più grand’inciampo al progresso delle bell'arti, si sono scatenati contro un metodo che, prendendo piede, distruggerebbe ad un tratto tutte le loro pretenzioni all’arbitrio di decidere e alla facoltà d'operare. Si è creduto di poter dar giudizio dell'Alceste su delle prove informi, mal dirette e peggio eseguite; s'è calcolato in una camera l’effetto, che far potrebbe in teatro, con quella medesima avvedutezza con cui altre volte in una città della Grecia si voleva a pochi piedi di distanza giudicar di statue destinate ad erigersi sovra altissime colonne. Un orecchio delicato ha trovato forse troppo aspra una cantilena o un passaggio troppo risentito e mal preparato, senza pensare, che forse al suo sito era il massimo dell’espressione e il più bello del contrapposto. Uno sciolo ha profittato d’una giudiziosa negligenza o forse d’un error di stampa per condannarlo come un peccato irremissibile contro i misteri dell’armonia, e si è poi deciso a pieni voti del congresso contro una musica barbara e stravagante. È vero, che con simil criterio si giudica degli altri spartiti, e se ne giudica appresso a poco con qualche sicurezza di non sbagliare; ma Vostra Altezza ne vede subito la ragione. Più che si cerca la verità e la perfezione, più la precisione e l’esattezza son necessarie. Sono insensibili le differenze, che distinguono Raffaello dal gregge de’ pittori dozzinali, e qualche alterazione di contorno che non guasta la somiglianza d’un viso caricato disfigura interamente un ritratto di bella donna. Non si vuol nulla, per che la mia aria nell’Orfeo: “Che farò senza Euridice” mutando solamente qualche cosa nella maniera dell’espressione diventi un saltarello di burattini. Una nota più o meno tenuta, un rinforzo trascurato di tempo o di voce, un’appoggiatura fuor di luogo, un trillo, un passaggio, una volata può rovinare tutta una scena in un’opera simile; e non fa nulla o non fa che abbellire un’opera delle solite. La presenza perciò del compositore nell’esecuzione di questa specie di musica è, per modo di dire, tanto necessaria, quanto la presenza del sole nell’opere della natura. Egli n’è assolutamente l’anima e la vita, e senza di lui tutta resta nella confusione e nelle tenebre. Ma bisogna prepararsi a questi ostacoli finché vi sarà al mondo della gente, che si creda autorizzata a decidere sull’arti belle, perché ha il privilegio d’aver un par d’occhi ed un par d’orecchi, non importa come. È un difetto per sventura troppo commune fra gli uomini la mania di voler parlare delle cose appunto, che meno intendono, ed io ho veduto ultimamente uno de’ più gran filosofi del secolo impacciarsi a scriver di musica e avanzar come oracoli: “Sogni di ciechi e fole di romanzi”. Vostra Altezza avrà di già letto il dramma del Paride e avrà osservato, che non somministra alla fantasia del compositore quelle passioni forti, quelle immagini grandi e quelle situazioni tragiche, che nell’Alceste scuotono gli spettatori e danno tanto luogo ai grandi effetti dell’armonia; onde non s’aspetta sicuramente l’istessa forza e l’istessa energia della musica, come non esigerebbe in un quadro a lume aperto l’istessa forza di chiaroscuro e gli stessi risentiti contrapposti, che può impiegare il pittore in un soggetto, che gli ha dato luogo a scegliere un lume ristretto. Non si tratta qui d’una moglie vicina a perdere il consorte, che per salvarlo ha il coraggio fra l’ombre nere della notte, d’evocare in una orrida foresta i Numi infernali, che nell’estreme agonie della morte ha ancora a tremare per il destino dei figli, ha da staccarsi da un marito che adora. Si tratta d’un giovine amante, che è un pezzo in contrasto colle ritrosie d’onesta e superba donna, e con tutta l’arte d’una passione industriosa alfin ne trionfa. Ho dovuto industriarmi a ritrovar qualche varietà di colori, ricercandola nel carattere diverso delle due nazioni Frigia e Spartana, con mettere in contrasto il ruvido e selvaggio dell’una con il delicato e molle dell’altra. Ho creduto, che un canto in un'opera non essendo che il sostituto della declamazione, dovesse in Elena imitar la nativa rozzezza di quella nazione, e ho pensato che per conservar questo carattere nella musica, non mi sarebbe attribuito a difetto l’abbassarmi qualche volta fino al triviale. Quando si cerca la verità, bisogna variarsi a seconda del soggetto, che si ha fra mano, e le maggiori bellezze della melodia e dell’armonia divengono difetti ed imperfezioni, quando sono fuor di luogo. Non spero dal mio Paride maggior successo che dall’Alceste quanto all’intento di produrre nei compositori di musica il desiderato cambiamento, anzi ne prevedo sempre più grandi ostacoli, ma non mi ristarò io per questo di far nuovi tentativi al buon disegno, e se ottengo il voto di Vostra Altezza ripeterò contento: Tolle syparium, sufficit mihi unus Plato pro cuncto populo.
Ho l’onore d’essere col più profondo rispetto di Vostra Altezza, Umilissimo Devotissimo Obbligatissimo Servitore, Il Cavaliere Christofano Gluck. Vienna, 30 ottobre 1770.»
Dalle parole dell'autore scopriamo indizi interessanti sulla realizzazione dell'opera. In questa prefazione vi è un riscontro immediato di quella ricerca del “bello” e del “vero” che propugnavano i due autori, espressa a chiare parole:
«Più che si ricerca la verità e la perfezione, più la precisione e l’esattezza sono necessarie.»
Viene poi sottolineata la funzione della musica, che dev'essere controllata dal compositore con grande abilità, a rischio di far continuare la pessima pratica musicale che si cercava di superare. D'altra parte, l'attenzione del musicista per gli arrangiamenti e le sottolineature del testo potevano potenziare davvero la percezione del dramma:
«La presenza perciò del compositore nell’esecuzione di questa specie di musica è, per modo di dire, tanto necessaria, quanto la presenza del sole nell’opere della natura.»
Infine troviamo una vera e propria ammissione per quanto riguarda la collocazione, in relazione alle precedenti, di quest'opera, la quale
«non somministra alla fantasia del compositore quelle passioni forti, quelle immagini grandi e quelle situazioni tragiche, che nell’Alceste scuotono gli spettatori e danno tanto luogo ai grandi effetti dell’armonia.»
Addirittura vi è una presa di coscienza quasi premonitrice sugli scarsi risultati e sviluppi di quest'ultimo lavoro:
«Non spero dal mio Paride maggior successo che dall’Alceste quanto all’intento di produrre nei compositori di musica il desiderato cambiamento, anzi ne prevedo sempre più grandi ostacoli, ma non mi ristarò io per questo di far nuovi tentativi al buon disegno.»
Non si riscontrano, quasi per nulla, particolari colorature, ma piuttosto una certa rigorosità benché vi sia una novità, rispetto al passato, che è da notare: l'abolizione dei forme chiuse, il che denota invece una maggiore flessibilità di struttura. L'ouverture anticipa l'atmosfera del dramma, com'è auspicato nella prefazione dell'Alceste, ma impiega anche musica che verrà sentita nel corso dell'opera. Per quanto riguarda i contenuti vi è implicitamente la rappresentazione della bipolarità tra Europa e Asia: la rude barbarie spartana, descritta dalla fermezza del canto di Elena, si contrappone alla bellezza e dolcezza asiatiche, rappresentata dal canto armonioso di Paride.
Il taglio è in cinque atti – il che può sicuramente già indicare parte dell'indirizzamento al periodo francese di Gluck – e la vicenda si mostra esile e priva di avvenimenti di rilievo: Paride giunge nel Peloponneso per ottenere, come promesso dalla dea Venere, i favori amorosi della bella Elena, regina di Sparta. Da notare che nel dramma Elena è promessa sposa di Menelao e non già moglie: questo accorgimento venne adottato prudentemente dagli autori per non incorrere nella censura dell'imperatrice Maria Teresa che non avrebbe tollerato un'offesa al pubblico pudore tramite l'esaltazione di una storia adulterina. Accompagna il racconto, quasi da narratore esterno, il dio Amore, sotto lo pseudonimo di Erasto, che fa da intermediario e accende la scintilla tra i due giovani.
In sostanza il dramma narra del corteggiamento di Paride verso Elena, il primo rifiuto di questa e il successivo abbandono alla passione, grazie all'azione di Amore, e l'intervento finale di Pallade – la dea Atena – che preannuncia la guerra e l'incendio di Troia. Oltre a questo l'opera è condita da alcuni balli e interventi del coro: fra questi il balletto nel primo atto che mostra lo sbarco dei troiani e una danza, nel terzo atto, definita nella partitura “Aria per i atleti”, nella quale Elena organizza a palazzo una dimostrazione degli esercizi ginnici degli atleti greci e prega Paride di premiare i migliori. Nella parte che tratta del corteggiamento vi si riscontrano evidenti elementi comici, segno che quel genere stava insinuandosi sempre di più nelle voluttà artistiche degli autori drammatici di quegli anni.
Occorre rilevare che i personaggi sono tutti interpretati da voci bianche, soprani: nella prima rappresentazione, in particolare, troviamo Katharine Schindler nella parte di Elena, il castrato Giuseppe Millico in quella di Paride e, per i ruoli minori vi erano Teresa Kurz, moglie del comico viennese Kurz-Bernardon, nella parte di Amore-Erasto e Gabriella Tagliaferri in quella di Pallade. Jean-Georges Noverre era il coreografo e Alessio Contini lo scenografo.